Avventure intellettuali e compagni di solitudine
Giovanni Sessa
È in libreria, per Bietti, la nuova edizione di uno dei libri più significativi di Stenio Solinas, Compagni di solitudine, arricchita da un’introduzione e da un’appendice che raccoglie diverse recensioni uscite allora, la cui lettura consente di comprendere la rilevanza del testo. In queste pagine, Solinas ricostruisce la propria ricerca intellettuale, presentando gli autori che hanno avuto un ruolo rilevante nella sua formazione: la formazione, si badi, di un uomo che ha attraversato il tempo che gli è stato dato in sorte animato da un distacco esistenziale radicale come pochi altri. È pertanto un «romanzo di idee», la cui prima parte coinvolge il lettore in un flusso narrativo intermittente, messo in atto dall’interpunzione, il cui modello è esplicitamente riconosciuto nelle pagine del Male oscuro di Giuseppe Berto. Nella seconda, il dinamismo stilistico si placa nella discussione delle opere dei “compagni di solitudine” le cui pagine Solinas ha frequentato, non solo con continuità, ma animato dalla passione di chi ha contezza che la lettura è una delle grazie di cui può avvalersi l’uomo per rendere meno greve la vita. Chiave d’accesso atta a illuminare l’universo interiore dell’autore è Arturo Pérez-Reverte: «Il protagonista dei suoi romanzi è sempre lo stesso tipo umano», scrive Solinas, un “avventuriero”, sia che abiti nella Spagna di Cervantes, sia negli anni Trenta del secolo XX. Reverte mette in scena «la dignità della sconfitta, […] il senso dell’onore come ultima e unica risorsa, […] il sentimento dell’amicizia e della fedeltà che lega fra loro i vinti». È il medesimo contesto esistenziale che anima i personaggi di Chateaubriand nella Francia rivoluzionaria di fine Settecento. A Solinas e alla generazione che, per dirla con Fausto Gianfranceschi, “non ha fatto in tempo a perdere la guerra”, quella Francia lacerata, senza possibilità di conciliazione tra le parti politiche, sembrava molto simile all’Italia postbellica. In quel frangente storico, con la definitiva conquista dell’egemonia culturale, la sinistra nostrana si trasformò in “etnia”, “razza padrona” il cui sguardo moralista, venato di razzismo antropologico, ridusse l’altro da sé in paria. È proprio in quell’Italia che Solinas maturò i propri gusti e, soprattutto, disgusti. I primi lo indussero a scegliersi come compagni di viaggio «quegli scrittori che alla propria individualità alla fine non avevano mai rinunciato, […] spiriti più liberi… anime più nobili». Tra essi Drieu, Jünger, Marlaux, Saint-Exupéry, Lawrence. Pochi gli italiani cui la generazione dei nati negli anni Cinquanta guardò con interesse. Tra di essi, Evola. Idolatrato negli anni Settanta dai giovani di “destra”, il suo tradizionalismo è lontano dalla visione di Solinas, fautore di una concezione sferica, aperta della storia, in cui il possibile è sempre in agguato come, proprio in quegli anni, sostennero Giorgio Locchi e Paolo Isotta (l’Evola “idealista magico”, comunque, condivideva tale posizione). L’idolatria evoliana produsse il germe malato degli “evolomani”, scolastici ripetitori del verbo del maestro, «un vero e proprio caravanserraglio dell’esoterismo». Per questi ultimi, l’evolismo, con il correlato del necessitarismo storico-ciclico, fu una dottrina di rassicurazione politica-esistenziale. I disgusti di Solinas lo portarono al disprezzo del mondo utilitarista e materialista, ma anche dell’altrettanto sterile e culturalmente asfittico mondo ideale della “destra” dell’epoca. L’autore ricorda il tentativo della Nuova Destra, di cui fu interprete di primo piano: «Una volontà di presenza… una chiamata alla vita… un calcio alle ragnatele dove soffocavano intelligenze e passioni». Un’occasione mancata, tradita dall’irruzione del berlusconismo e di tutto ciò che ha rappresentato. Con la Nuova Destra, a riemergere fu la dimensione dell’avventura intellettuale, la valorizzazione delle capacità individuali, il confronto con la modernità. Solinas ha ragione nel sostenere che certi libri riescono a farci sentire meno soli, proprio rafforzandoci nelle nostre solitudini. Essi inducono la contrapposizione a quella che Carlo Michelstaedter definì la “comunella dei malvagi” e aiutano a costruire una comunità che abbraccia tempi e spazi lontani, quella dei solitari, degli “avventurieri”, coloro che non rinunciano all’“invincibile estate” (Camus) e la mantengono viva, in tutte le età della vita. Stenio Solinas, Compagni di solitudine. Una educazione intellettuale, Edizioni Bietti, Milano 2021, pp. 366, € 20,00.