Solo Dio perdona - Only God Forgives. Di heroic bloodshed, manga e spaghetti western
Mauro GervasiniNicolas Winding Refn realizza Solo Dio perdona. Only God Forgives (2013) dopo il successo internazionale di Drive, che nel 2011 aveva vinto al Festival di Cannes un premio per la migliore regia fortemente voluto dal presidente di giuria Robert De Niro. Drive era stato per NWR un lavoro su commissione, dato che il regista entrò nell’operazione grazie all’attore protagonista Ryan Gosling, al quale il produttore Marc Platt (che in origine aveva pensato a Neil Marshall dietro la macchina da presa) aveva dato carta bianca sulla scelta del regista. Con Solo Dio perdona le cose cambiano. Si tratta di un progetto personale al quale NWR comincia a lavorare dalla primavera del 2011, appena Gosling – con il quale Refn ammette di avere ormai una «relazione telepatica» – firma il contratto (sebbene in origine si fosse pensato a Luke Evans). Mentre è ancora nel vivo il tour promozionale di Drive cominciato a Cannes, iniziano a girare voci sul nuovo film, definito «un western ambientato nell’estremo Oriente». Il set è infatti a Bangkok, dove la lavorazione incontra più di un rallentamento a causa del clima non sempre favorevole alle attività della troupe. Al di là della compartecipazione dell’americana FilmDistrict, la produzione di Only God Forgives è europea, in particolare della francese Wild Bunch di Vincent Maraval e Brahim Chioua, mentre la Gaumont si occupa della distribuzione internazionale. Maraval entra nella partita affascinato dallo stile di NWR che considera vicino a quello di un altro regista estremo della sua scuderia, Gaspar Noé, con il quale aveva lavorato in una precedente esperienza orientale, l’ottimo Enter the Void (2009). NWR firma con la Wild Bunch un contratto per due film, il secondo dei quali («un horror ambientato nel mondo della moda») ha come primo titolo I Walk With the Dead ma diventerà poi The Neon Demon. Meno Hollywood e più Parigi significa per il cineasta danese maggiore libertà e nessun controllo da parte degli studios. Il cast viene completato dall’arrivo di Kristin Scott Thomas nella parte della madre del protagonista e di Vithaya Pansringarm in quella dell’angelo della vendetta.
La storia di Solo Dio perdona si racconta in meno di 50 parole. Due fratelli americani spacciatori in Thailandia. Il maggiore massacra una ragazzina. Un poliziotto imperturbabile fa a sua volta massacrare quest’ultimo dal padre della poveretta. La mamma dei due fratelli arriva furibonda in cerca di vendetta. Il fratello minore non sa bene da che parte stare. Il poliziotto imperturbabile vince. Tutto questo descritto attraverso una messa in scena stilizzata e personaggi che non sono tali, bensì variabili narrative codificate. La storia del cinema di genere, non solo americano, abbonda di opere che presentano queste caratteristiche: il loro modello principale è lo spaghetti western, riferimento ben chiaro a NWR che infatti, quando dice di aver voluto realizzare un western camuffato, certo non pensa ad Anthony Mann, ma a Sergio Leone e Sergio Corbucci se non, addirittura, ad Alberto Cardone o Gianfranco Parolini. Parliamo di manga/anime giapponesi (in Ken il guerriero di Tetsuo Hara e Buronson, per esempio, ci sono rimandi espliciti a Django di Sergio Corbucci [1966]), di heroic bloodshed hongkonghesi (nel dna di John Woo, checché se ne dica, c’è molto più Leone che King Hu, per dire) e del generone tarantiniano (più gli epigoni o gli imitatori, beninteso, giacché il cinema di Quentin Tarantino, al di là dei riferimenti esteriori come le musichette e i nomi non c’entra nulla né con Castellari né con Corbucci né con nessuno). Il poliziotto di Vithaya Pansringarm è come Sartana, Halleluja o Django: l’uomo del mistero che fa piazza pulita. Ha pure lui un’ideale background religioso, dio della vendetta da Antico Testamento, inflessibile e del tutto certo della suddivisione tra bene e male. Il confronto però finisce qui. L’eroe dello spaghetti western passa attraverso le sue peripezie martoriato come un Cristo in croce, spesso addirittura mutilato se non creduto morto. Insomma, non è invulnerabile. Lo sbirro di NWR invece no: scansa i proiettili, pare invincibile, nello scontro sul ring con Julian (Ryan Gosling) non prende neanche un pugno, li evita tutti e lascia a terra l’avversario tumefatto. Potremmo dire che l’eroe dello spaghetti western rivela la sua matrice cattolico-mediterranea nella sofferenza fisica che precede la catarsi violenta, mentre quello del cineasta danese mette insieme l’ascesi orientale, soprattutto giapponese, e la concezione tipicamente nordico-protestante del Dio intangibile in quanto estraneo all’essere spazio-temporale quale è l’uomo. Vithaya Pansringarm potrebbe essere eterno esattamente come One Eye in Valhalla Rising. Regno di sangue (2009). La similitudine è confermata dallo stesso regista: «One Eye e il tenente Chang di Solo Dio perdona sono lo stesso personaggio interpretato da due attori diversi». La loro dimensione narrativa è quella del mito: se non si riesce ad accettare questa lettura del film, ma si continua a pensare per miopia o ignoranza a una mera operazione cinefila e/o a una riflessione sull’ineluttabilità della violenza (!), è naturale non comprendere il film. Non si sottovaluti l’aspetto orientale. Perché parlare di ascesi giapponese se siamo in Thailandia? Perché Vithaya Pansringarm non è il primo attore che passa, bensì un celebre maestro di kendō, l’arte marziale di Yukio Mishima. In una delle prime sequenze, quando il padre della ragazzina uccide a randellate il fratello assassino di Julian, lo vediamo inquadrato dal basso mentre duno dei suoi uomini gli porge una tazza con qualcosa di caldo, che lui beve in modo solenne, rimarcando la propria imperturbabilità. Una sorta di diga etica alla devastazione morale circostante, oppure la ricerca di una calma interiore quando tutto intorno è il caos. Ecco, il tenente Chang agisce attraverso la violenza per riequilibrare questo caos. Il male non è ovviamente estirpabile, ma la conseguenza di ogni sua manifestazione deve essere sanzionata attraverso la penitenza. Questo accade. Julian si salva perché estraneo all’omicidio della ragazzina e contrario alla mattanza ordinata dalla madre, ma non si esclude una sua punizione estrema, benché rivelata in una sequenza finale totalmente onirica. Per NWR quello del sogno pare essere un registro estetico più che psicanalitico. In Solo Dio perdona anche la schermaglia tra madre-strega e figlio appartiene più a una dimensione mitica o squisitamente cinematografica (Kristin Scott Thomas come Laura Dern in Cuore selvaggio di David Lynch [1990]) che a una elaborazione edipica. Del resto, come detto, i personaggi non sono personaggi: Gosling dice in tutto il film 17 frasi e non esistono dinamiche psicologiche da esplorare. Il mondo di NWR si contempla come spettacolo senza tempo, metafora universale.
CAST & CREDITS
Titolo originale: Only God Forgives; regia: Nicolas Winding Refn; sceneggiatura: Nicolas Winding Refn; fotografia: Larry Smith; scenografia: Beth Mickle; costumi: Wasitchaya “Nampeung” Mochanakul; montaggio: Matthew Newton; musiche: Cliff Martinez; interpreti: Ryan Gosling (Julian), Kristin Scott Thomas (Crystal), Vithaya Pansringarm (Chang), Gordon Brown (Gordon), Yayaying Rhatha Phongam (Mai), Tom Burke (Billy), Sahajak Boonthanakit (Kim), Pitchawat Petchayahon (Phaiban), Charlie Ruedpokanon (Daeng); produzione: Space Rocket Nation, Gaumont, Wild Bunch, Motel Movies, Bold Films, Film i Vast, DR/Flimklubben, Nordisk Film ShortCut, Danish Film Institute, Nordisk Film- & TV-Fond, MEDIA Programme of the European Union; origine: Francia, Danimarca, Usa, Svezia, 2013; durata: 90’; premi: miglior attrice non protagonista (Kristin Scott Thomas) ai Bodil Awards 2014, miglior film e migliore attrice protagonista (Kristin Scott Thomas) ai Robert Awards 2014; home video: dvd Rai Cinema, Blu-ray IIF; colonna sonora: Milan Records.