Un «Baccanale privato» in poesia

Guido Giorgio
Il paradosso romeno – Eliade, Cioran e la «giovane generazione» n. 7/2014
Un «Baccanale privato» in poesia

Le Muse si sono ritirate sulle vette ultramondane, abbandonando noi mortali all’implacabile stridor di denti della mediocre quotidianità. Permangono tuttavia alcuni interpreti moderni di quel canto lontano e sorgivo al cui potere mitopoietico la fantasia dei nostri antenati si è a lungo abbeverata. Fra di essi, un posto di riguardo spetta a Giuseppe Aziz Spadaro, poliedrico studioso e soprattutto artista di valore. Un contemporaneo, con una postura intimamente greca e rinascimentale: ellenica, in virtù della comprensione del ruolo sacrale e teurgico dell’operazione poetica, percepita come mania di platonica memoria, follia divina che pervade il poeta conducendolo in stati ontologici e conoscitivi superiori; rinascimentale, – come ben evidenziato dal critico d’arte Marco Bussagli – in base alla convinzione della natura universale delle arti e alla perfetta padronanza tanto del genere artistico poetico quanto di quello pittorico. Entrambe le qualità, per così dire animiche, dell’autore si rivelano pienamente nella sua più recente fatica, Baccanale privato, armonioso ensemble di componimenti poetici e riproduzioni a colori di opere pittoriche figurative. Un vero e proprio atanor, in cui l’alchimia delle parole giunge a piena maturazione seguendo un itinerario d’impronta spirituale e iniziatica, diretto a rivelare un’apertura di senso abissale e insieme a modificare la percezione esistenziale del lettore, nell’auspicio di un’autentica e sincera metanoia. La trascendenza immanente che anima le movenze poetiche di Spadaro si manifesta in figure esemplari, simboli e miti, talora presenti in modo evidente, altrove in umbratile velatezza. Obiettivo dell’immaginario costruito dall’autore risulta costantemente l’“altro”, la dimensione ulteriore dell’indicibile a cui solo la poesia – perlomeno nell’interpretazione di numerose fonti tradizionali e di svariati pensatori novecenteschi – può alludere senza ingabbiare e reificare. Emergono allora diverse figure, iconicamente dipinte secondo le tinte di una pervasiva nostalgia dell’Origine, per quella fonte nascosta che si diffonde a tratti in folgorazioni di luce: l’Ulivo, albero sacro e incarnazione dell’axis mundi, recante i segni «d’una millenaria sapienza/che arde perennemente/nella patriarcale/luce d’una lucerna» (p. 15); il Saltimbanco, schiavo moderno della borghesia, dimentico del suo antico ruolo regale e sapienziale; il Tramonto, di cui l’Occidente è spenglerianamente terra destinale; il Re spodestato, figura sacrale cui porsi messianicamente in attesa; il Padre, simbolo dell’unità cosmica pre-storica infranta dalla genesi del molteplice; infine, Chronos, il tempo che tutto divora e consuma, «dalla culla alla bara egli ci assilla/ci lèsina l’attimo» (p. 60). È in questa tensione mistica rivolta al kairos divino che si comprendono le parole della poesia Dolore, freddo marmo: «Dolore, freddo marmo,/la mia accusa è senza rancore,/la mia preghiera senza un oggetto,/e non ho altro da chiedere a Dio/che la mia vita mi basti ad acquistare/una certezza d’infinito/e che guarisca di questa malattia/che si chiama morte…» (p. 40). Un lamento drammatico, un urlo al cielo che sfiora le lande del nichilismo per perdersi nell’immaginazione, nell’emanazione fantastica e onirica delle tele che lo stesso Spadaro colma di simboli archetipali. È il medesimo afflato delle composizioni poetiche, in cui «viandanti si perdono/lungo le vie dell’infinito» (p. 16). Giuseppe Aziz Spadaro, Baccanale privato, presentazione di Noemi ed Emerico Giachery, consuntivo di Marco Bussagli, Edizione Studio Tesi, Roma 2013, pp. 110, € 18,00.

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