Christine Daaé: «Vi prego di perdonarmi».
Fantasma: «Per cosa?».
Christine Daaé: «Pensavo che avessi detto qualcosa».
Fantasma: «Non ho detto nulla. Ma mi sono sorpreso a pensare a te. Pensieri che mi sorprendono. E non mi sorprendo facilmente».
Christine Daaé: «Pensarmi? Perché?».
Fantasma: «Volevo dirtelo, la tua voce riempie il cuore di luce divina. Shhh. Ascoltarti è sublime, meraviglioso. Questo deve essere il nostro segreto. Non dirlo a nessuno, nessuno allora saprà che ci incontreremo di nuovo».
Christine Daaé: «Come?».
Fantasma: «Quando sentirai i miei pensieri, saprai dove andare».
Il vagito di un neonato è accolto dalle tenebre, la notte custodisce la vergogna dell’abbandono ed è proprio l’oscurità a colmare l’assenza degli affetti negati; il buio è il luogo che diventa famiglia, con le sue creature spaventose che nutrono e curano l’orfano.
«Fui abbandonato sul fiume del tempo e dello spazio»: questa è la storia del principe dell’oscurità, accudito dai topi, divenuti per lui «fratelli e amici». Principe di un regno nascosto, lontano dalla luce, ma uomo dal cuore puro. La leggenda racconta di un fantasma che abita nei sotterranei del Teatro dell’Opera di Parigi, una presenza che infesta le rappresentazioni e aleggia come una maledizione. Il fantasma è sensibile al bello e soprattutto alla bellezza femminile. Si nasconde sui palchi più alti del teatro lirico da dove, indisturbato, ascolta, osserva e si innamora di lei, giovane e insicura promessa della musica: Christine, la ragazza dalla voce di usignolo, costretta all’ombra della cantante Carlotta Altieri, della quale è la semplice sostituta. Ha ucciso per vendetta, per nascondersi da chi lo braccava e gli dava la caccia, e continua a perpetrare i suoi crimini per amore, per difendere la donna che ama e il loro legame.
Quando il fantasma incontra Christine i due iniziano una conversazione telepatica. È come se i capi di una matassa finalmente si ricongiungessero: si riconoscono, da subito tra i due nasce qualcosa di indefinibile, oltre il sentimento, un reciproco e atavico appartenersi l’un l’altra. La donna è però anche attratta dal giovane barone Raoul De Changy. Un corteggiamento lento e cortese, quello di Raoul, con fiori, rose rosse e lettere appassionate. Ma sempre discreto, squisitamente garbato. Christine deve ammettere a sé stessa di amare due uomini, distanti tra loro e totalmente diversi. Metafore, a loro modo: l’uno dell’oscurità, del lato nascosto e cupo, che tanto attrae la donna; l’altro della luce, intesa come salvezza dalle tenebre che dimorano nell’animo stesso della Daaé. L’amore incondizionato.
Il fantasma e la giovane cantante lirica si appartengono profondamente, al punto che l’uomo rappresenta una parte fondamentale di Christine, quella sfaccettatura del suo animo che lei stessa impara a conoscere, nascosta come le profondità del suolo dove dimora il fantasma, buie e celate agli altrui occhi. Forse è proprio la notte che la donna si porta dentro. Innamorata e spaventata dai sentimenti che prova, così forti e così contrastanti, non più bambina, ma ora adulta, con il cuore rapito da due uomini.
Sullo sfondo c’è una Parigi immersa in una notte eterna. La vita si muove intorno a Christine, che danza e canta in un eterno passaggio tra palcoscenico e quinte, uno scenario sempre declinato in tonalità algide e tetre. La luce e il giorno sono distanti, lontani. Strani personaggi animano le scene in maniera convulsa: ci sono le ballerine, bambine innocenti, soggetti delle tele di Degas; ci sono giovani poeti che si azzuffano per stabilire chi tra Rimbaud e Baudelaire sia più innovativo per l’arte nel contemporaneo di fine Ottocento. Ci sono il vizio e la dissoluzione che serpeggiano negli ambienti dell’alta aristocrazia tra orge, pedofilia e lupanari in cui confondersi e dimenticare il dolore di vivere.
Dario Argento rilegge un grande classico del 1911 di Gaston Leroux, Il fantasma dell’Opera, realizzando una trasposizione libera rispetto alla favola nera e romantica dello scrittore. Il fantasma dipinto dall’autore romano è privo di maschera, né deforme né sfregiato, ma ha le fattezze di Julian Sands, dandy affascinante dalla lunga chioma bionda, coperto da un mantello di pelle da cui spunta un corpo scolpito e virile.
I crimini compiuti dal fantasma rappresentano poi le scene più gore della pellicola: lingue strappate, corpi e visi deturpati, cadaveri infilzati in stalagmiti. Il tutto in compagnia di un mare di topi dagli occhi rubini, forse ben più che “amici” del principe dell’oscurità, come si vede nella scena in cui i roditori se la spassano sul torace – e non solo – dell’uomo.
Sicuramente gli effetti speciali, firmati da Sergio Stivaletti, ricoprono un ruolo fondamentale in questa opera del 1998: spicca su tutti la “macchina ammazzaratti”, strano congegno guidato dal derattizzatore del teatro e dal suo socio, in grado di aspirare e uccidere gli animali mentre corre nelle gallerie dei sotterranei, facendo razzie.
Diverse sono state le trasposizioni cinematografiche di Il fantasma dell’Opera: indimenticabile quella del 1925, diretta da Rupert Julian, con Lon Chaney nei terrificanti panni del fantasma, film amatissimo da Argento; altrettanto fondamentali Il fantasma del palcoscenico del 1974, a opera di Brian De Palma, o l’omonimo musical scritto da Andrew Lloyd Webber e diretto da Harold Prince. Argento porta in scena le sue ossessioni qui, come in ogni sua pellicola; la rattofilia, già approfondita nel precedente Inferno (1980), ha un’accezione sessuale, fortemente erotica, nella scena in cui Sands recita con una quarantina di topi sul suo corpo e con cui ha un rapporto, come già accennato, molto intimo – decisamente una scena non facile, come più volte ricordato dall’attore, che si è affidato a tecniche meditative di yoga per poterla girare.
Il fantasma dell’Opera argentiano è stato filmato tra gli studi di Cinecittà, il Teatro dell’Opera di Budapest e le grotte di Pertosa e Slovacchia, girando soprattutto di notte, proprio perché nel corso della giornata si susseguivano le diverse rappresentazioni nel teatro. Le ambientazioni notturne e gotiche, seppur schiacciate in un’immobile bidimensionalità, sono ispirate ai quadri di Maurice Quentin de La Tour, soprattutto nell’uso della luce: vedendo Christine cantare sul palcoscenico non si può non pensare al ritratto della marchesa di Pompadour che il pittore transalpino realizzò tra il 1752 e il 1755, per il modo in cui viene illuminato il suo volto e per la ricchezza dell’abito, restituita alla perfezione.
La poeticità di questa favola nera è resa alta anche grazie all’apporto del maestoso tappeto sonoro che accompagna l’architettura visiva, affidato a Ennio Morricone, e innalza soprattutto la componente romantica del film fungendo da splendido contrappunto alla visionarietà di Argento, che in questa opera trova un fertile terreno di espressione.
CAST & CREDITS
Regia: Dario Argento; soggetto: Gaston Leroux (romanzo Il fantasma dell’Opera); sceneggiatura: Dario Argento, Gérard Brach; fotografia: Ronnie Taylor; scenografia: Antonello Geleng, Paola Riviello; costumi: Ágnes Gyarmathy; montaggio: Anna Rosa Napoli; musiche: Ennio Morricone; interpreti: Asia Argento (Christine Daaé), Julian Sands (il fantasma), Andrea Di Stefano (Raoul De Chagny), Nadia Rinaldi (Carlotta Altieri), Coralina Cataldi Tassoni (Honorine), Enzo Cardogna (Marcel), David D’Ingeo (Alfred), Gianni Franco (Montluc), Lucia Guzzardi (Madame Giry), Luis Molteni (Nicolaud); produzione: Giuseppe Colombo per Medusa Film, Reteitalia, Cine 2000; origine: Italia, 1998; durata: 106’; home video: Blu-ray inedito, dvd Medusa; colonna sonora: Image Music.