"Phenomena". Un fenomenale amalgama

Dario Argento n. 15/2022

Era l’estate del 1986 (anche se il film è del 1985, bisogna specificare che in quel periodo storico le sale erano tantissime e le pellicole restavano su grande schermo molto più a lungo di adesso) quando, tredicenne, uscii dalla sala cinematografica stordito ed eccitato dalla visione di Phenomena, un’opera che ha lasciato un segno profondo nel mio modo di amare e studiare la Settima arte. Questo per far capire che il mio amore verso Argento, dopo quella visione, è diventato finalmente conscio (e mai sazio); e anche che il film di cui sto scrivendo è e sarà sempre, quindi, una parte di me.
Detto questo, la storia – scritta dallo stesso Argento, con la collaborazione di Franco Ferrini – è quella della giovanissima e sonnambula statunitense Jennifer Corvino, spedita dal padre a studiare nel collegio d’élite Richard Wagner a Zurigo. Qui, durante una crisi, assiste a un omicidio, apparentemente legato ad altri compiuti nella zona da un serial killer. Decide di scappare e, durante la fuga, incontra una scimpanzé addomesticata, Inga, che la guida in salvo a casa dell’entomologo paralizzato John McGregor. Qui scopriamo che la giovane ha un forte contatto telepatico (in)consapevole e una inspiegabile attrazione verso gli insetti, che sembrano adorarla come gli animali del bosco venerano Biancaneve. Gli investigatori, intanto, brancolando nel buio si rivolgono proprio a McGregor, che può aiutarli avendo scoperto un modello di studio degli insetti parassiti in grado di accertare la data di morte delle vittime. Nel frattempo, McGregor e Jennifer fanno amicizia, ma non sanno che il killer sta per colpire ancora ed è più vicino di quel che sembra.
Favola neo-gotica, questo Phenomena – a detta di Argento il suo film preferito tra quelli che ha diretto – è un oggetto strano, del quale si è scritto e detto molto. Risulta tuttora essere uno dei titoli più discussi del Maestro e non è difficile capirne il perché. Situato tra Tenebre (1982) e Opera (1987), due thriller in piena regola, questo è sospeso tra il giallo e l’horror puro e regala la sensazione di una visione unica (le similitudini con Suspiria [1977] ci sono, ma risultano marginali) grazie a una messa in scena potente e allo stesso tempo aggraziata – cangiante la fotografia di Romano Albani, preciso il montaggio di Franco Fraticelli. E a una narrazione solida che ci fa accettare senza troppi problemi anche alcune (giuste, per chi scrive) forzature di trama.
Sin dal prologo – dove una fanciulla danese (interpretata dalla figlia del regista, Fiore) viene decapitata dopo un inseguimento carico di ritmo – è chiara l’abilità tecnica e artistica di Argento nel girare le scene degli omicidi: la sequenza è praticamente perfetta nella gestione dei tempi del terrore e nell’esplosione dell’orrore incontrastato. Ma è l’intera pellicola a funzionare nella delicata gestione dei generi che in essa confluiscono (oltre al giallo e all’horror, vi sono tracce di surrealismo nelle sequenze oniriche, momenti di dramma puro e persino tocchi da commedia) e in un cast ben assortito, con volti noti o destinati a diventare tali.
La giovanissima e talentuosa Jennifer Connelly, qui al primo film da protagonista, regala per esempio un calibrato mix di forza e candore alla sua Jennifer che, novella Alice, per dirla fulcianamente, ha rotto lo specchio. Non è da meno Donald Pleasance, ispiratissimo, che offre una prova energica, realistica e mai sopra le righe capace di donare al suo personaggio una forza visiva e narrativa non comune. Impossibile poi dimenticare la strepitosa Daria Nicolodi che, nella parte della vicedirettrice del collegio Frau Brückner, incarna almeno tre tipi di personalità senza colpo ferire.
A fare la sua parte anche la bella colonna sonora di Simonetti, coadiuvata da pezzi rock e metal – dagli Iron Maiden fino ad Andi Sex Gang, passando per Bill Wyman degli Stones senza dimenticare i grandi Motörhead – che moltiplicano la tensione grazie al buon uso che ne viene fatto da un Argento in grado di mettere a segno colpi su colpi nel piazzare la macchina da presa, senza sbagliare mezza inquadratura. Come in un brano di ottimo art-rock, Argento si muove aderendo costantemente alle esigenze della narrazione. Che si faccia uso di macchina a mano, piani sequenza, soggettive o grandangoli esasperati, l’amalgama visivo del racconto è garantito e si dipana sempre senza mai ristagnare, proprio perché la tecnica non risulta mai fine a sé stessa.
Da notare anche gli ottimi effetti speciali e di trucco di un giovane Stivaletti (aiutato sul set dal veterano Luigi Cozzi) che regala una tra le facce più terribili che il cinema ricordi, resa ancor più credibile dall’uso magistrale – anche in questo caso – della mdp da parte dell’autore.
La sceneggiatura mette in primo piano gli insetti – e la regia la asseconda con insistiti dettagli degli stessi – che diventano investigatori assieme a Jennifer creando un cortocircuito, poiché lo spettatore non è certo abituato a tifare per una mosca e una ragazzina, combattendo al contempo anche contro il disgusto che la visione degli insetti si porta dietro dalla notte dei tempi.
Nel complesso Phenomena è un film che si divide quasi in due parti, un po’ come le critiche da “salotto buono” verso questa splendida opera. La prima è intrisa di omicidi e tensione, oltre che piena di interessanti disquisizioni sugli insetti, sulla natura (splendido e mai fuori contesto lo scimpanzé, più umano degli umani), sulla morte e su come gli esseri umani siano convinti di essere in grado di poter controllare tutto. Nella seconda il gore, la violenza, il disgusto e il ritmo crescono vertiginosamente assieme alle peripezie che la povera Jennifer alla seconda dovrà affrontare (o subire): una su tutte, il bagno nella piscina con i cadaveri putrefatti, sequenza entrata di diritto nella storia per come è cupa e coinvolgente e per come riesce a imprimersi nella mente, grazie alla credibilità dell’effetto.
Se è pur vero, in una certa misura, che nella parte finale ci sono fin troppi colpi di scena uno dietro l’altro, lo è anche che, stando al gioco della favola (non bisogna dimenticare che parliamo di un film dalle forti tinte fantasy, oltre che orrorifiche), tali stramberie di scrittura risultano volutamente grottesche e inserite coerentemente nel contesto. Come del resto l’intera pellicola riesce, pur viaggiando su svariati binari, a intersecarli armonicamente (quasi sempre) creando situazioni di empatia – cosa rara nei film horror argentiani – con Jennifer. Descrivendo il bullismo nel college, il pessimo rapporto della giovane con la famiglia, la solitudine come sua unica compagna, la sceneggiatura crea un’associazione sottile ma potente, da archetipo, con McGregor, uomo di enorme intelligenza, paraplegico e ugualmente relegato in una solitudine animata solo dallo scimpanzé e dai suoi studi, eppure voglioso di vivere e scoprire nuovi mondi inesplorati grazie agli amati esapodi. Questa passione da entomologo conduce il regista alla creazione di un universo a sé partendo dalle stupende scenografie naturali, passando per l’uso dei silenzi e dei suoni della natura che innescano nello spettatore un senso di smarrimento coinvolgente, spaventoso e allo stesso tempo attraente, surrealmente pacifico. Un ibrido che non disinnesca i codici del thriller all’italiana o dell’horror, ma li cambia (rivoluzionando non solo i generi, ma anche il sistema di narrazione argentiana, anche questo caso un unicum) attraverso una costruzione che a tratti sbalordisce per come riesce a stare in piedi nonostante i cambi di registro della sceneggiatura. Nello script si trovano alcune tra le ossessioni che l’autore si porta dietro nei suoi lavori: la maternità come scudo, la necrofilia, l’adolescenza vista come una battaglia e l’idea del sovrannaturale come fuga da una realtà ben più paurosa della finzione.
Impossibile non citare la sequenza dell’invasione delle mosche nel collegio che, con effetti artigianali ma visivamente azzeccati, rimane una tra le più oniriche ed efficaci che il Maestro abbia mai girato. Anch’essa regala una chiave di lettura davvero intrigante: la maledizione che tutti si ostinano a vedere in Jennifer è solo effetto del loro bigottismo e falso moralismo, scaricati su una ragazza innocente, pura, apparentemente indifesa.
Notevole l’idea di trasformare lo sguardo della macchina da presa in un bisturi che taglia, metaforicamente, le palpebre degli occhi dello spettatore per costringerlo a guardare ciò che lo stesso spettatore non vorrebbe vedere, ma non può fare a meno di osservare. Tutto grazie alla forza maestosa di una regia che dipinge ogni atto in scena in modo irripetibile.
Seppure pieno di chiavi di lettura sociali e politiche molto interessanti, ciò che per il sottoscritto rende Phenomena un film magistrale è l’annullamento dei riferimenti nei tempi delle azioni su schermo che lasciano un vuoto in chi guarda, riempito dall’impeto registico, anch’esso a suo modo rivoluzionario, manifestazione esteriore di una forza interiore al racconto stesso. Senza contare che nella pellicola la ricerca della verità porta a un progressivo avvicinamento alla morte, o alla salvezza, a seconda del soggetto: anche in questo, quindi, Phenomena sposta l’attenzione su colpi di scena che non sono più tali per scelta narrativa, ma sembrano nati così, oltre lo schermo.
Molto spesso ciò che vediamo o sentiamo non ci stupisce, semplicemente ci atterrisce: non solo per un volto deforme o una tortura splatter, ma per la struttura (sociale in cui viviamo, e anche filmica in questo caso) che ci ha portato a credere a cose che il film invece ribalta, senza mai opporre la scelta a ciò che il regista vuole raccontare: la storia di una ragazza che trova l’amore verso la vita grazie a insetti che tutti considerano simbolo di morte.
Questa storia è innestata e ambientata in un luogo-mondo che riporta alla mente un punto di passaggio, attraverso il quale sono passate le correnti filosofiche del pensiero occidentale. Opera straniante, che mette a nudo le paure del proprio autore qui esaltate da una pericolosa, ma appagante, scrittura (quasi) fuori controllo e da un uso dei mezzi cinematografici impeccabile nella ricerca – anche avanguardista – delle inquadrature, degli stacchi di montaggio da videoclip (adesso sono la norma ma all’epoca erano quasi senza precedenti) e di un’unione fra forma e sostanza che se a un primo sguardo sembra impossibile, a una visione più attenta risulta invece coerente.
Da molti Phenomena è stato odiato alla sua uscita: per la presunta misoginia (accusa un po’ pretestuosa, visto che la protagonista è una donna giovane e forte); per essere una pellicola che mette assieme l’assioma brutto=cattivo (accusa ancor più assurda, dato che Argento compie una riflessione sull’essere e sull’apparire, senza contare che uno tra i personaggi cattivi è molto bello); per essere il “Suspiria dei poveri” (ma, come già scritto, le similitudini sono talmente sfumate da non meritare una seconda considerazione) e per mille altri motivi che una certa critica miope (e anche i fan della prima ora, che da Argento pretendevano solo thriller puri) ha usato come pretesto per attaccare il genere horror, considerato indegno (inutile far notare a tali scribacchini che la Settima arte nasce artisticamente con il fantastico e il tanto vituperato cinema orrorifico).
Phenomena è al contrario una pellicola appassionante, suggestiva, rivoluzionaria, che ha dalla sua l’inquietudine del gotico, la tensione del giallo in perfetto stile Hitchcock e la sperimentazione del cinema d’arte che sfocia nel new (body) horror splatter nato in quegli anni, a partire anche da opere precedenti dello stesso Argento.
Un film che non è solo un cult, ma un uno tra gli apici nella carriera del suo autore, un vero e proprio gioiello meritevole di una riscoperta.

CAST & CREDITS
Regia: Dario Argento; soggetto: Dario Argento, Franco Ferrini; sceneggiatura: Dario Argento, Franco Ferrini; fotografia: Romano Albani; scenografia: Maurizio Garrone, Nello Giorgetti, Luciano Spadoni, Umberto Turco; costumi: Marina Malavasi, Patrizia Massaia; montaggio: Franco Fraticelli; musiche: Goblin; interpreti: Jennifer Connelly (Jennifer Corvino), Daria Nicolodi (Frau Brückner), Donald Pleasence (professor John McGregor), Fiore Argento (Vera Brandt), Federica Mastroianni (Sophie), Fiorenza Tessari (Gisela Sulzer), Dalila Di Lazzaro (direttrice), Patrick Bauchau (ispettore Rudolf Geiger), Alberto Cracco (sportellista), Fulvio Mingozzi (padre di Gisela Sulzer), Michele Soavi (Kurt); produzione: Dario Argento per DAC Film; origine: Italia, 1985; durata: 116’; home video: Blu-ray RaiCom, dvd RaiCom; colonna sonora: Cinevox.

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