Sicilia, 1915. All’alba della Grande Guerra, Mico sta per raggiungere la stazione dei treni. Deve lasciare il piccolo villaggio di mare in cui è nato e cresciuto, per intraprendere il lungo viaggio che lo condurrà al fronte. Con lui, lungo la strada, il compagno di sempre, un giovane storpio, salvato dalla sua infermità dall’inferno che al nord attende i suoi dannati. Da tale doloroso distacco prende il via la storia di un’amicizia spezzata, una lunga e amara discesa nel baratro della vita. Scuriatti scrive un libro struggente, reso autentico dalle parole “intraducibili” della sua Terra, pennella quadri da cui escono soggetti vivi che sanno commuovere e che a tratti ricordano personaggi come Cinto ne La luna e i falò di Cesare Pavese: «…su una ruota stesa per terra era seduto un ragazzo, in camicino e calzoni strappati, una sola bretella, e teneva una gamba divaricata, scostata in modo innaturale. Era un gioco quello? Mi guardò sotto il sole, aveva in mano una pelle di coniglio secca, e chiudeva le palpebre magre per guadagnar tempo».