Cecilia Ermini

Roma

riviste

Inscrivere l’opera cinematografica di Pupi Avati in un solo genere è impossibile. Polimorfo per natura, il suo cinema è immune da tentativi di categorizzazione, fieramente libero di dialogare, in maniera sotterranea e anarchica, con i registri più disparati e sempre pericolosamente in bilico fra sacro e profano. Tra le infinite ramificazioni di un corpus così stratificato è però plausibile rintracciare, fin dall’esordio Balsamus. L’uomo di Satana (1968), una debordante pulsione “sottoculturale”. Chiaramente non nella sua accezione riduttiva, ma in quella orgogliosa sfumatura di resistenza popolare a un mondo ormai mercificato e uguale a se stesso. In La mazurka del barone, della [...]
Tratto da Pupi Avati n 10/2019

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Maurizio Nichetti è famoso come regista di Ratataplan, Ho fatto splash, Ladri di saponette, Volere volare, che sono stati visti [...]

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