Visto, si tagli. Il giallo di Martino in censura

Roberto Curti
Sergio Martino n. 5/2017
Visto, si tagli. Il giallo di Martino in censura

Come dice il proverbio, chi raccoglie d’estate è previdente e chi dorme al tempo della mietitura si disonora. Mentre gira Lo strano vizio della signora Wardh (1971), Sergio Martino sa bene che anche per il suo film arriverà il tempo della mietitura, a colpi non di falce ma di forbici, a opera dei signori membri delle Commissioni ministeriali di censura. E si premura per tempo.

È il 1970 e le acque sono agitate in via della Ferratella in Laterano. I tempi degli implacabili commissari dell’era andreottiana sono ormai un ricordo, dopo che la legge del 1962 ha finalmente rinnovato una disciplina censoria ferma al fascismo. I censori, però, sono sempre più spesso affiancati e superati (a destra, ça va sans dire) dai magistrati, che a colpi di sequestri per oscenità si pongono come ulteriore baluardo del comune senso del pudore. È in corso, di fatto, un riassestamento di poteri. E, come sanno bene produttori e cineasti abituati a quotidiani tira e molla per portare a casa il visto, il passaggio davanti alle Commissioni ha spesso i caratteri di un mercanteggiare attorno ai metri di pellicola da sacrificare.

Dunque Martino, al pari di altri suoi colleghi, gira e monta materiale in più che potrà poi espungere a beneficio dei censori, in segno di buona volontà. Il problema non è la violenza: a turbare è, piuttosto, il proibito (leggi: erotismo, perversione, uso di droghe). Lo sa bene anche il regista: Mille peccati… nessuna virtù (1969) si era preso un VM18 «per le numerose scene di nudo nonché per le sequenze relative all’uso di sigarette e caramelle contenenti stupefacenti». E America così nuda, così violenta (1970) era stato alleggerito di «tutta la sequenza in cui si vede una negra mentre balla in un locale notturno ripresa da tergo mentre in posizione quasi carponi agita le natiche» per ottenere il nulla osta, seppure con divieto ai minori «in considerazione delle numerose scene di violenza ed inducenti a comportamenti amorali quali quelle riguardanti l’autolesionismo di un giovane, la circoncisione e l’escissione della clitoride a negri di ambo i sessi, la bastonatura di un negro al quale viene fracassata una mano, il cosiddetto rito di Satana, il tiro a bersaglio su conigli vivi presentato nei più crudeli dettagli, per le scene erotiche del teatro underground, per i nudi femminili, per gli atteggiamenti spregiudicati degli hippies, per il film destinato agli omosessuali e infine per le scene riguardanti le illustrazioni dei punti erotogeni di un corpo femminile, le quali scene sia singolarmente che nel loro complesso sono tali da esercitare una influenza deleteria sui detti minori per la loro sensibilità ed incompleta maturazione psicologica».

Lo strano vizio della signora Wardh è un giallo dalla componente erotica in evidenza fin dal titolo, un passo più in là rispetto agli intrighi carnali già indigesti confezionati nel 1969 da Umberto Lenzi in Orgasmo, le cui «scene di accentuata depravazione sessuale presentata in forma sfacciatamente oscena» per poco non valgono al film la bocciatura, e in Così dolce… così perversa, di cui il regista aveva dovuto sforbiciare una scena con Trintignant e la Baker a letto – lei «distesa nuda di spalle con le natiche in particolare evidenza» – e sostituirla con una versione casta della stessa, in cui «i fianchi dei protagonisti sono coperti da lenzuola». Le natiche non piacciono, neppure (anzi!) se pregevoli come quelle delle protagoniste del cinema di genere dell’epoca. Per cui, tra le inquadrature destinate al sacrificio, ce n’è una zenitale di Edwige Fenech impegnata in un focoso amplesso con George Hilton, su un divano… Con il derrière dell’attrice in particolare evidenza, appunto. Martino gira senza impegno, tanto sa che dovrà tagliare la scena. E invece, nella sorpresa generale, la Commissione emette parere favorevole al rilascio del nulla osta di proiezione in pubblico con divieto ai minori di 18 anni. Il responso è, come al solito, schifiltoso: i commissari motivano il divieto citando «i numerosi omicidi nei quali la violenza è commista al sesso rappresentati con particolare crudezza e ricchezza di particolari talvolta raccapriccianti nonché per le scene erotiche e in particolare per quelle che riguardano l’accoppiamento in barca e su un divano visto attraverso la vetrata e infine per i nudi femminili; le quali scene nel complesso appaiono non compatibili con la particolare sensibilità dei minori predetti». Ma, appunto, non viene richiesto alcun taglio.

Per molti versi, lo strano caso della signora Wardh è emblematico di un ulteriore giro di vite negli orientamenti censori. I successivi gialli di Martino se la cavano addirittura con un blando VM14: La coda dello scorpione per via del «clima di terrore di cui è pervaso il film, con gole sgozzate, ventri squartati e versamenti di sangue a profusione», Tutti i colori del buio – previo alleggerimento delle «scene di erotismo tra gli attori Hilton e Fenech» – a causa dell’«erotismo accentuato che ancora residua, per le scene di violenza sanguinosa e di magia nera». Il VM18 torna a colpire con Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972) e I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973), ma per il secondo titolo è lo stesso produttore Carlo Ponti a chiedere il divieto ai minori di 18 anni, prontamente concesso senza alcun taglio.

Il VM18 è croce e delizia dei produttori: da un lato è una garanzia di proibito che aiuta a vendere un film, dall’altro è un impaccio per determinati generi che attirano un pubblico più giovane, come il poliziesco. E, se Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973) esce con un VM14, Milano trema: la polizia vuole giustizia (1973) riceve invece un inatteso VM18. Nonostante il produttore si dichiari disposto a sforbiciare, la Commissione d’appello non muta avviso e, specificando «che non è possibile eseguire dei tagli i quali lascerebbero, se eseguiti, inalterata la tematica, che è inadatta alla sensibilità dei minori degli anni 18», conferma il divieto «a causa delle scene di selvaggia violenza (vari carabinieri vengono uccisi sul treno, dei quali uno a pugnalate, un automobilista è ucciso a freddo e la sua bambina viene anch’essa trucidata, mentre in un primo piano si vede la stessa che implora), nonché per le scene relative a due rapine riprodotte nei dettagli, con la cattura di ostaggi e l’uccisione di una donna incinta». Rispetto alla violenza pure efferata del giallo, il poliziesco ha l’aggravante di raccontare la quotidianità dell’Italia del decennio… Perciò l’accoltellamento di un carabiniere è considerato molto più grave di quello di una bella bionda.

Il divieto ai minori ritorna per Morte sospetta di una minorenne (1975), dove l’ibridazione tra giallo e poliziesco ha per oggetto una tematica scottante quale la prostituzione minorile, analogamente ad altri film della stagione come La polizia chiede aiuto di Massimo Dallamano (1974) e …a tutte le auto della polizia… di Mario Caiano (1975). La proposta della produzione di effettuare tagli è respinta in appello «in considerazione del clima di violenza che pervade il film e di tutta la tematica (prostituzione, droga, sequestri di persone a fini di estorsione, ecc.), che può turbare la sensibilità anche dei maggiori degli anni 18» (corsivo nostro).

Con i lavori successivi Martino smorza i toni al punto che, nel 1978-1979, l’unico film della trilogia avventuroso-fantastica a beccarsi un VM14 è La montagna del dio cannibale (1978), vuoi per le scene di cannibalismo, vuoi per gli scultorei nudi di Ursula Andress.

Flash forward: primi anni Novanta. Quando Graffiante desiderio (1993) viene vietato ai minori di 14 anni (la Commissione ravvisa «nella tematica scabrosa del film, nelle sue varie sequenze erotiche e nella spregiudicatezza di alcuni dialoghi altrettanti profili controindicati rispetto alla particolare sensibilità dei detti minori ed alle esigenze legate alla loro formazione spirituale»), la produzione ricorre in appello, ma il responso è confermato in forza del «succedersi delle scene di violenza anche cruenta, che nel loro insieme escludono la possibilità anche di tagli parziali».

I tempi sono cambiati, il pubblico anche, e il cinema italiano non si sente troppo bene. Dopo l’entrata in vigore della legge Mammì conviene volare bassi: un VM14 significa niente passaggi televisivi in prima serata, mentre per le pellicole VM18 c’è l’oblio. Anche questa è censura. E per i film già bollati con il marchio d’infamia scatta l’ora di un ulteriore passaggio purificatorio: la derubricazione. È il caso, per esempio, di I corpi presentano tracce di violenza carnale, derubricato a VM14 previi tagli. Tracce di violenza, ora, non ce ne sono più.

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