Zombie e la visione della (Ma)donna. I personaggi femminili e la loro forza attrattiva

Laura Da Prato
Rob Zombie Reloaded n. 8/2019
Zombie e la visione della (Ma)donna. I personaggi femminili e la loro forza attrattiva

Nel cinema di genere Rob Zombie rovescia e in un certo senso rivoluziona la figura femminile, che diventa un mix (fatale) di innocenza e crudeltà, repressione e slancio sessuale spinti ai massimi livelli. In un’ottica di revisionismo (e omaggio) delle opere anni Settanta, dove i confini tra vittime e carnefici erano ben definiti, una piccola serie di personaggi femminili si mostra, per complessità e per grandezza iconica, equivalente ai corrispettivi maschili. Le donne sono l’oggetto dell’attenzione e dello sguardo in Le streghe di Salem, a partire dalla onnipresente Sheri Moon Zombie nel ruolo di Heidi Hawthorne, solitaria dj della cittadina di Salem, bella e maledetta come la sua abitazione, un appartamento sito in un vecchio edificio amministrato dalla elegante e al contempo creepy Lacy, signora sui sessanta che ama prendere il tè con le “sorelle” Sonny e Meg. Heidi è una ex tossicodipendente sulla via della riabilitazione. Il suo corpo (mostrato nudo già nei primi minuti) sembra in ripresa, ma la sua mente è in declino: dal primo ascolto del misterioso vinile dei Lords è catturata, rapita da quei suoni cupi come le altre donne di Salem, eredi di coloro che avevano perseguitato le streghe tre secoli prima. Proprio le streghe rivivono, in flashback, nei deliri allucinatori della protagonista, con i loro corpi esposti, deturpati, quasi finti e mostruosi, lontani dai richiami erotici, dalla bellezza estetica e formale di quello di Heidi, sensuale e freddo al tempo stesso, coperto/protetto da tatuaggi e da lunghi rasta biondi. Per tutto il film le donne appaiono in una continua lotta Age versus Youth(1). La vendetta delle vecchie streghe con la continua invocazione di Satana e il richiamo alle abitanti di Salem, colpevoli della loro morte quasi quanto Heidi (il cui cognome è lo stesso del reverendo che, nel 1692, le aveva giudicate e condannate), appare come una manifestazione di disprezzo verso i corpi delle giovani e la loro attrattività fisica. Le tre megere dei tempi moderni, le vicine di casa capeggiate da Lacy, sono poco sensuali e squisitamente decadenti e non entrano in contatto con il sesso maschile se non a fini omicidi. La loro morbosa premura verso Heidi porta alla sua totale disfatta fisica e mentale, allo svelamento delle loro identità (di genere) e delle reali vesti: le discepole di Satana e le donne da loro maledette sono messe a nudo di fronte al demonio, che chiede un sacrificio. Le dannate si offrono in un tripudio di carne e forme, un altare di cadaveri iconico e blasfemo al cui culmine si staglia Heidi, tra(s)mutata in una madonna lachapelliana, con ampio abito dorato e velo rosso su corona di metallo, ripulita dai di-segni della vita terrena. Il suo parto “mistico” è una condanna, in una scena di polanskiana memoria. Sheri Moon torna icona simil-religiosa in Halloween II: Deborah Myers, madre di Michael, si è suicidata e appare, nelle sue allucinazioni e in quelle di Laurie, in abiti angelici, accompagnata da un cavallo bianco, per riunire la famiglia (Family is forever, cita la tagline). Questa madre si discosta dalle figure genitoriali degli slasher e dall’originale carpenteriano ove campeggiava il motto “Le colpe dei genitori ricadranno sui figli”. Non è assente, è anzi un punto di riferimento essenziale per lo sviluppo psichico della prole: Michael è consapevole del lavoro della madre in uno strip-club, ma l’elemento che la collega alla sfera sessuale non lo disturba, anzi rende ai suoi occhi la donna vulnerabile e innocente, anche a causa del rapporto contrastato con il patrigno. In Halloween. The Beginning la madre è amorevole e protettiva verso il ragazzo anche dopo il massacro avvenuto nella propria abitazione. Zombie indaga in profondità un personaggio che finora era rimasto marginale e supera il tòpos del mostro mascherato tornato a punire i giovani trasgressori delle norme puritane. Moltiplica i personaggi femminili, donando loro una vita filmica maggiore della durata del rapporto sessuale che consumano e/o desiderano consumare; così l’amica Annie, sopravvissuta nel primo capitolo e divenuta surrogato della sorella maggiore Judith, è, in Halloween II, la vittima prediletta da Michael, l’ultimo ostacolo al suo obiettivo di “riunire” la famiglia. Laurie è, secondo la scrittrice Carol Clover, la vera final girl: deve al contempo ricreare la propria identità e sfuggire alle sue origini(2); il suo personaggio non si discosta molto da quelli delle amiche e delle coetanee, sebbene non si esponga sessualmente; l’assenza di atti erotici potrebbe salvarle la vita, ma apprendiamo presto che, per Rob Zombie, il sesso non è legato imprescindibilmente alla morte. Nello scontro finale Laurie colpisce direttamente Michael: la final girl diviene pienamente consapevole del proprio passato e ciò è causa di un trauma che difficilmente sarà sanato con le cure psichiatriche a cui si trova sottoposta nel secondo film. Degenera, infine, nella malattia mentale. La casa dei 1000 corpi e La casa del diavolo meritano una riflessione a parte: attingendo a piene mani dai proto-slasher e dagli exploitation, ritraggono personaggi femminili complessi e al tempo stesso ben chiari. Tra le poche esponenti del gentil sesso a vivere vita breve sullo schermo vi è parte delle vittime della famiglia Firefly (Mother, Baby, Otis, Granpa, Rufus e Tiny), vero fulcro dell’attenzione dello spettatore e del regista. Mother Firefly è una donna naïf, frivola e accattivante, una formosa predatrice che si rivela complice e assassina al pari dei consanguinei. Condotta in carcere dopo che la famiglia è stata dispersa, in La casa del diavolo abbandona gli abiti da bambola per adottare quelli da combattimento in difesa dei parenti: nel secondo capitolo si mostra come una donna rude e sboccata, poco incline alle moine e al richiamo sessuale. Sappiamo da subito, invece, che la figlia Baby (Sheri Moon) è un’assassina psicopatica: in un video amatoriale, nel prologo di La casa dei 1000 corpi, dichiara che uccidere non è un problema per poi mostrarsi, agli ignari avventori, come una ingenua e sexy padrona di casa. Baby è lo spettacolo erotico e l’oggetto di desiderio sessuale, con la sua bellezza disarmante e le sue forme sempre ben mostrate, contrapponendosi totalmente (nel primo film) alle vittime femminili e alla final girl Denise, in una continua lotta/mostra di costumi altamente simbolici(3): nei primi minuti veniamo informati del fatto che cinque cheerleader sono scomparse, quindi le ritroviamo prigioniere nella casa dei Firefly prima nei loro abiti tradizionali, poi, assieme a Denise e all’amica Mary, travestite da conigli bianchi (con un doppio riferimento incrociato al Bianconiglio di Alice paese delle meraviglie e alle conigliette di «Playboy»). Su di loro ogni elemento legato alla femminilità e alla sessualità è stato eliminato, il make-up è un effetto sbavato o esagerato. Al contrario, Baby dedica una grande attenzione al proprio aspetto prima di andare in scena vestita come una diva degli anni Trenta, make-up marcato e ricca parrucca, per il suo showtime, durante il quale interpreta in playback I Wanna Be Loved by You, di nuovo richiamando l’attenzione del pubblico maschile e mostrandosi consapevolmente come oggetto del desiderio. È un personaggio insidioso e subdolo che, contrariamente agli evil maschili, necessita di grandi stimoli per realizzare i propri impulsi assassini: tanto più grande e difficile è la preda, tanto maggiore sarà il godimento e l’efferatezza dell’atto. La vittima designata è Mary, amica di Denise, scostante, antipatica, quasi insopportabile. Per Baby la brutale uccisione della ragazza è una vera liberazione. Similmente al personaggio di Sally in Non aprite quella porta (1974), Denise sembra sfuggire ai Firefly, da vera final girl, salvo poi essere nuovamente catturata, risultando perdente. Nel cinema di Rob Zombie le donne trionfano, cadono, si rialzano, vengono elevate a figure divine quasi irraggiungibili, al centro dell’attenzione dello spettatore e delle inquadrature, carne e carnefici. Dotate, nel bene e nel male, di una forza in-credibile. Una forza che le porterà alla salvezza o alla totale distruzione.

Note

1 Yates Michael, The films of Rob Zombie, CreateSpace Independent Publishing Platform, 15 novembre 2013.

2 Clover Carol, Her Body, Himself: Gender in the Slasher Film, University of California Press, 1989-2004.

3 Le Sueur Colin, Misogynism and the Macabre: An Analysis of the Representation of Women in Rob Zombie’s House of 1000 Corpses, Film Fortress, 9 giugno 2006.

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