Il falso mito di Dracula: dal diabolico «burlesque» alla realtà

Luca Bistolfi
Il paradosso romeno – Eliade, Cioran e la «giovane generazione» n. 7/2014
Il falso mito di Dracula: dal diabolico «burlesque» alla realtà

È noto quanto il concetto di “tradizione”, con o senza la maiuscola, talvolta susciti tra gli intellettuali alcuni dibattiti. La questione, da un punto di vista meramente culturale, potrebbe anche essere interessante. Tuttavia è necessario rendersi conto che determinati concetti non debbono e non possono esser fatti oggetto di discussione, dacché ineriscono a dominii del tutto estranei al comune discorrere, foss’anche il più colto ed erudito. Vi sono in sostanza concetti che hanno l’obbligo d’essere maneggiati solo da chi abbia pieni consapevolezza e rispetto di essi. Il termine “tradizione” è uno di questi, pertanto non può che avere un solo significato, a prescindere dal contesto in cui esso è collocato – ricordando, tra l’altro, che l’alibi del contesto è ciò che relativizza, forzandolo e abbassandolo al massimo grado, anche ciò che non può essere contestualizzato per via delle sue unicità e univocità. La “tradizione” va intesa come l’autentico deposito immutabile di conoscenze e pratiche, le quali concernono le sfere della religione, della spiritualità e del sacro. “Tradizione” è ciò che, nato puro poiché consegnato agli uomini da Dio per mezzo delle Sue manifestazioni, si perpetua nei secoli e nei millenni, trascorrendo nelle mani di coloro i quali sono stati scelti per codesto compito – conservazione e trasmissione – e possiedono tutte le qualificazioni per svolgere simile delicata e preziosissima funzione.

Muovendo dall’assunto appena enunciato, offriremo al lettore, per quanto consente lo spazio di un contributo di rivista, una serie di spunti che sgombreranno il campo da molti e pericolosi equivoci.

La presente trattazione sarà pertanto utile per mettere in guardia il lettore contro un assedio libresco e cinematografico, nonché fumettistico e ulteriormente declinato, che veicola non solo un errore, bensì una vera e propria inversione satanica, la quale, proprio a causa della sua popolarità longeva e planetaria e della sua presenza in pressoché ogni dominio della creatività umana, sta infettando l’Occidente da ormai oltre cent’anni, un Occidente già più che corrotto e alla cui corruzione il falso mito di Dracula ha fornito un contributo decisivo.

Com’è noto, in Occidente il cosiddetto conte Dracula – il vampiro che succhia il sangue degli umani, che a loro volta si tramutano in vampiri – è nato dal romanzo dello scrittore irlandese Bram Stoker (1847-1912) nel 1897. Sin da subito Dracula ebbe risonanza mondiale e oggi le sue derivazioni nei più diversi dominii culturali non si contano più. Codesta popolarità ha una sua spiegazione: l’essere umano è irresistibilmente attratto e affascinato dal male e, inoltre, tende con grande facilità – che, se non conoscessimo la tragica e grottesca storia umana, ci lascerebbe sbigottiti – a dimenticare e ad accantonare con lestezza le proprie radici, e a innestarsi su autentiche e pericolose menzogne. Sebbene non tutti i popoli ritengano che le leggi umane sian fatte per essere aggirate o infrante, di certo pochissimi sono gli uomini che considerano aberrante e propriamente diabolico abbandonare l’autentica tradizione per gettarsi nelle fauci degli “dèi falsi e bugiardi”. Ne siano coscienti o meno, questo è ciò cui essi acconsentono, è il destino che si scelgono: rigettare la sapienza antica alla ricerca del nuovo a tutti i costi, servendo così il pregiudizio e la superstizione del progresso, secondo cui tutto ciò che è nuovo è anche necessariamente un bene e tutto ciò che è “vecchio” è inutile o addirittura dannoso. È per questo, ma non solo, che gli ultimi decenni dell’epoca moderna hanno creduto e ceduto alla menzogna di Stoker e dei suoi epigoni, e hanno rigettato, senza consapevolezza, il mito autentico e il suo significato.

Prima di addentrarci in medias res, è necessario precisare che ciò portato a compimento da Stoker non è solo aver preso e pervertito un personaggio storico, bensì aver invertito una tradizione che, a dispetto di ogni pregiudizio e ignoranza, appartiene al cristianesimo. È quanto rileva per esempio Mihai Marinescu nel suo illuminante Il mito di Dracula nella tradizione romena (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2005).

Vasile Lovinescu (1905-1984), conosciuto anche come Geticus, rilevò, compendia Marinescu, che il mito è «come il piano di rifrazione intermedio tra l’Assoluto e il mondo, mondo che il mito crea e anima». Da ciò si deduce che tutti i miti rientrano in questa definizione e che, soprattutto, un mito rovesciato mette in relazione il mondo non già con l’Assoluto, bensì con il suo esatto opposto, ossia con la morte eterna e, più plasticamente parlando, con gli inferi e le sue potenze. È esattamente ciò che ha compiuto Stoker: ha ghermito motivi tradizionali della mitologia e li ha tramutati, invertendoli.

Iniziamo col dire che il personaggio di Dracula «non è stato e non è romeno». «Stiamo parlando – continua l’autore – del mito di Dracula così come esso è arrivato a essere compreso e divulgato oggi, nella forma del conte-vampiro di Bram Stoker, con le derivazioni corrispondenti. Ciò non significa che il folclore e le “superstizioni” popolari romene non contengano nulla che ispiri o alimenti una costruzione letteraria di questo genere». Essi sono infatti ricchi di «entità notturne», quali «vampiri, spettri (strigoi), larve (varcolaci) ed esseri di altra natura», i quali non sono tuttavia «propriamente individualizzati, non si riferiscono a un determinato personaggio storico che possa essere seguito nella storia nazionale, per quanto abbiano una posizione centrale nel calendario popolare o intervengano in modo decisivo nella storia nazionale. Quelli che di solito sono intesi come nomi sono in realtà denominazioni simboliche relative a una determinata funzione… Di conseguenza, là dove la ricerca strettamente storica su personaggi di questo genere non è in grado di illuminarci sul ruolo essenziale che essi possono svolgere per un certo popolo, la risposta ci proviene della stessa storia sacra della nazione rispettiva».

In base a questo, spiega Marinescu, e alle definizioni tradizionali di mito fornite da tutta una serie di autori tradizionali, «difficilmente potremmo inquadrare l’argomento “Dracula” in una qualunque di esse. Nelle concezioni popolari sui vampiri in generale e tanto meno nella forma “finale” del “mito” di Dracula, non c’è nulla che possa essere considerato come orientato verso il sacro o come un simbolo, nel senso vero e proprio di questi termini».

Il senso del sacro è del tutto assente in Stoker, al contrario delle sue fonti d’ispirazione. Il falso mito del conte-vampiro si configura come una «vera e propria allegoria demoniaca, per via della negazione e della contraffazione parodistica di alcuni elementi simbolici e mitici forniti di un autentico significato spirituale». Di più: «Come probabilmente la maggior parte di voi già sa, il nome scelto da Stoker per il suo personaggio sta in relazione con una celebre figura della storia romena […]. Stoker era interessato a creare in Romania una figura di vampiro credibile, idealmente storica, che facesse passare la narrazione come “ispirata a fatti reali”. L’impresa di Stoker, cioè l’introduzione del vampiro nella realtà concreta e attuale, distrugge l’essenza simbolica di tutto il mito. “Materializzato”, fissato entro delle coordinate esatte di spazio e di tempo, il mito viene pervertito e perde proprio quel carattere di atemporalità che lo rende universale».

Nonostante le apparenze, Dracula, secondo Stoker, non è cattivo, e la pellicola di Francis Ford Coppola ha aiutato questo modo di guardare al personaggio. Sono ben noti i motivi per cui il conte-vampiro può suscitare simpatia tra gli ingenui. Eppure, l’inganno sta proprio qui.

E ora alcuni esempi molto concreti per denotare meglio la diabolicità del romanzo e dei suoi intenti.

Al personaggio storico di Vlad III di Valacchia1 – Vlad Draculea in romeno (1431-1476), rinominato Vlad Tepes, ossia Vlad l’Impalatore, per via dell’abitudine che aveva d’impalare i nemici2 – è legato il simbolo del drago. Infatti, Vlad II Dracul (circa 1390-1447), padre del voievod (principe, sovrano) valacco3, apparteneva all’Ordinul Dragonului (l’“Ordine del Drago”), una confraternita riservata, fondata il secolo precedente da Sigismund von Luxemburg con la precisa missione di difendere la Cristianità4 dall’Impero ottomano. Ora, drac in romeno significa “diavolo” (dracul è articolato, “il diavolo”) e deriva dal latino draco, ossia “drago”. La mentalità moderna ha attribuito a questa figura un significato radicalmente negativo. Ma anche questo è un errore… diabolico, ossia una menzogna. Nonostante le apparenze, il drago ha caratteristiche in certo qual senso “positive”: «Il simbolo – scrive Marinescu – non comunica l’appartenenza al dominio del male, ma esattamente al contrario, la sua vittoria su queste forze, secondo il modello della Vergine che schiaccia la testa del serpente».

La più celebre raffigurazione cristiana del drago, visibile in moltissime chiese ortodosse, è quella di san Giorgio. Non si tratta dunque di un simbolo cristiano (infatti nell’iconografia mariana è associato al serpente che la Madre di Dio schiaccia), ma rappresenta il «“guardiano della soglia”, custode del tesoro spirituale iniziatico, che il neofita doveva affrontare e vincere per compiere il proprio percorso iniziatico». Non è infatti un caso che in molte chiese cattoliche antiche il drago sia posto sotto l’acquasantiera, che è forma del fonte battesimale, inizio sacramentale della vita cristiana. Inoltre, il motivo araldico dell’Ordine del Drago raffigura un drago rovesciato sotto una croce.

Altri due elementi stravolti da Stoker sono il simbolismo ematico e quello del Rex absconditus. L’utilizzo del sangue è forse la perversione più evidente. È attraverso il morso del vampiro e la susseguente ingestione del sangue della vittima che sono creati esseri diabolici (non dimentichiamo che il Dracula romanzesco è una figura negativa, palesemente infera, che ha spezzato il legame con Dio). Nel Cristianesimo – è quasi ridicolo ricordarlo – bere il sangue del Cristo significa invece vivere in lui. «Grazie all’eucaristia – ci richiama Marinescu – l’uomo vive e rinasce in Gesù, mentre per il tramite del sangue il vampiro si assicura una perpetuità nella morte». In buona sostanza: mentre nel Cristianesimo il sangue del Cristo dà la vita, in Dracula destina alla morte.

La questione del Rex absconditus è meno evidente ma altrettanto importante. Non avendo qui lo spazio per segnalarne tutti i dettagli, rimandiamo all’integralità del saggio di Marinescu e al Monarhul ascuns di Lovinescu5. In quest’ultimo leggiamo che «nella vita e nella continuità di un popolo non esiste elemento più positivo, benefico, vitale, risanatore, della presenza – nel suo centro occulto e mitico ma altrettanto reale – di un personaggio archetipico del quale si dice che non è morto e che, nascosto, soffre e fiorisce assieme a quel popolo, riunendo in un fuoco quintessenziale tutte le possibilità latenti di esso, sublimandone le sofferenze, introducendo la malinconia nelle sue gioie e scoprendo, tra il sole e la luna, la posizione dell’astro del mattino». Simile figura è rappresentata, nella storia e nella tradizione romene, da Stefan cel Mare (Stefano il Grande, 1433-1504), voievod moldavo molto amico di Vlad Tepes e figura centrale nella spiritualità ortodossa, tanto da esser proclamato santo nel 1992 e da diventare oggetto di un culto ufficioso non solo da parte del semplice popolo. Ora, secondo alcune leggende, il voievod non sarebbe mai realmente morto, e dal regno dei morti ritornerà. «Non è morto, tuttavia non è neanche vivo, senza però essere morto», scrive Lovinescu commentando un’icona dell’arcangelo Michele custodita nel museo del monastero ortodosso di Varatec in Moldova.

Sotto l’arcangelo si trova un voievod anonimo e incoronato, posto all’interno di ciò che rassomiglia a una grotta o a una cripta. Ascoltiamo ancora Marinescu: «L’elemento simbolico fondamentale che nel cosiddetto mito di Dracula è stato invertito per primo è quello della grotta-cripta. Nel mito del Rex absconditus, la grotta è innanzitutto un luogo della nascita futura, un luogo in cui si conservano le energie latenti di un popolo, affinché con la Parusia possano manifestarsi nella luce e nella gloria. Nel mito di Dracula, la cripta è un luogo della morte perpetua, che reca a sua volta la morte. Inoltre, la grotta è tradizionalmente un luogo della totalità, del compimento, che “contiene in sé la rappresentazione del cielo e della terra” (R. Guénon) […]. Nel caso di Dracula, la cripta reca l’impronta demoniaca dell’inquietudine, della cupidigia divorante. Quando giunge il momento, essa non si apre nella luce ma, al contrario, in mezzo alla tenebra, manifestando la natura satanica di Dracula». Secondo i Vangeli, confermati anche dal Corano, Gesù nasce proprio in una grotta; e la successiva rivelazione – che amplia, approfondisce e sigilla tutte le profezie –, ossia quella islamica, è ricevuta per la prima volta dal Profeta Muhammad proprio in una grotta. Dati che non necessitano di ulteriori chiose.

Inoltre, questa contraffazione ha senza dubbio soverchiato l’aspetto storico del principe valacco, esacerbandone e deformandone moltissimi aspetti. Si sappia per inciso che la percezione del voievod che abbiamo in Occidente, quantunque alterata e manipolata da Stoker, è infatti incommensurabilmente superiore a quella che si ha da sempre in Romania, Paese nel quale Vlad Tepes, pur celebre e importante, è uno dei non pochi gloriosi e nobili voievozi (pl. di voievod) che ha dominato su questo o quel principato romeno nel corso dei secoli – tra i quali ricordiamo, a sol titolo d’esempio, Mihai Viteazul (Mihai il Coraggioso, 1558-1601) e Mircea I cel Batran (Mircea il Vecchio, 1355-1418). Si potrebbe dire che una fama maggiore di quella normale per un principe si è in parte avuta solo allorquando nel Paese carpatico ha iniziato a penetrare il diabolico e macabro burlesque stokeriano di Dracula, ciò che si può collocare senz’altro dopo la caduta del comunismo (1989) e l’ingresso della Romania nell’area d’influenza occidentale6.

In ogni caso, sulla figura storica di Vlad Tepes i libri in lingua italiana ovviamente non mancano, anche se, fra i pochi validi, uno solo contiene un maggior numero di dati ed è storiograficamente denso e affidabile. Si tratta di: Dracula. La vera storia di Vlad III l’Impalatore (Mondadori, Milano 2006) di Matei Cazacu (1946), romeno naturalizzato francese, che si avvale di notevole rigore di ricerca e d’una bibliografia in molteplici lingue eurasiatiche. Assai meno ragguardevole è Dracula. Una storia vera di Vito Bianchi (Cortina, Milano 2011), a cui però non guasterà prestare un po’ di attenzione. Da evitare invece Dracula l’Impalatore. La biografia di Vlad Tepes Principe della Valacchia di Roberto Gargiulo, edito da Minerva: l’ennesimo volume dal titolo e dalla copertina “inquietanti”, in perfetta sintonia con l’aura falsa e oscura che circonda il coraggioso voievod, che denunziano in modo eloquente l’attitudine di fondo di un libro poco serio. A solo titolo d’esempio, si pensi che l’autore colloca il sovrano valacco nei Balcani, quando è noto che i monti cui si ricollega la figura di Vlad Tepes sono i Carpazi.

Interessante è invece Il racconto su Drakula voevoda, anonimo documento originale dell’epoca attribuito a un membro della corte dello zar, che però va letto avendo ben presenti le dinamiche geopolitiche centro-orientali d’allora.7

Da ultimo vorremmo ancora ricordare un particolare, di cui anche critici e storici ignorano l’importanza, pur essendo inerente a una questione biografica: Stoker, la cui vita è peraltro avvolta in misteri certo assai più foschi di quelli del principe valacco, non si mosse da solo, ma ebbe un ispiratore. Costui era tal Arminius Vámbéry8, al secolo Hermann Wamberger (o Weinberger), un ebreo che per tutta la vita visse nell’inganno e dell’inganno, tanto da spacciarsi per musulmano e riuscire ad aggregarsi a dei pellegrini di ritorno dalla Mecca, città santa dell’Islam. Fu proprio costui a fissare nella testa di Stoker alcuni punti decisivi per la compilazione del Dracula. Inoltre Stoker, oltre a fare uso di stupefacenti, faceva parte della Golden Dawn, un’organizzazione palesemente antitradizionale e controiniziatica cui aderì anche il famigerato Aleister Crowley (1875-1947).

Quanto abbiamo proposto all’attenzione del lettore è solo una sintesi del problema, da cui però emergono in maniera sufficientemente chiara l’origine e le mire del falso mito di Dracula e dei suoi suggeritori ed esecutori.

 

  1. La Valacchia (in romeno, Vlahia o Tara Romaneasca) era quel territorio a sud della Romania che costituiva un principato a se stante, insieme alla Transilvania e alla Moldova (in Italia chiamata in maniera imprecisa “Moldavia”), che nel 1859 andrà a costituire insieme a quest’ultima la prima forma di Stato unitario romeno. Per una disamina esauriente, cfr. L. Boia, Romania, tara de frontiera a Europei, Humanitas, Bucarest 2007, pp. 58-78.
  2. In verità pare che il soprannome abbia origine presso i turchi (Kazıklı Bey, principe impalatore), i maggiori “fruitori” della pratica del sovrano, e che sia citato per la prima volta in una cronaca valacca del 1550, conservandosi in seguito nella storia romena.
  3. “Draculea” è la forma genitivale slavona (l’antica lingua slava) di Dracul, che equivale al von tedesco, al van fiammingo o anche al de adoperato in Italia. Pertanto la desinenza –ea starebbe a indicare la nobiltà della casata ma vieppiù la discendenza da un antenato di rango. La dicitura “Dracula” – sconosciuta in Romania sino a qualche tempo fa, come d’altra parte tutta la falsificazione stokeriana – è con tutta evidenza una contrazione o, per meglio dire, una deformazione.
  4. In quella che oggi consideriamo Europa orientale – o, secondo punti di vista geopolitici differenti, Europa centrale – il Rinascimento così come lo intendono gli occidentali non vi fu mai e, mentre in questa nostra parte d’Europa possiamo collocare la fine del Medioevo con l’inizio del XV secolo, per le terre al di là di Vienna possiamo ancora parlare di Cristianità, ossia di quel complesso geoculturale e geopolitico che fondava ogni singolo aspetto dell’esistenza, da quelli più quotidiani a quelli di più vasto e profondo ordine, sulla fede e sulla dottrina cristiane, declinate, in Occidente, sotto il papato e nella stragrande maggioranza dell’Europa centro-orientale e orientale nella Chiesa ortodossa.
  5. V. Lovinescu, Rex absconditus, Aragno, Torino 1999.
  6. Volendo esser ancor più minuziosi, potremmo rilevare che Stoker, oltre alle altre ingiustizie commesse nei confronti di Vlad III, lo ha altresì degradato: da principe a semplice conte.
  7. Il racconto su Drakula voevoda, Sellerio, Palermo 1995
  8. Si può trovare scritto anche erroneamente Vambéry (essendo un cognome, ungherese la pronuncia cambia).

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