La Città: «Morselli, tutta la grandezza della solitudine»

Guido Morselli
2015-05-06 03:21:31
La Città: «Morselli, tutta la grandezza della solitudine»

Guido Morselli, in vita misconosciuto e mai pubblicato nei suoi romanzi e racconti, è diventato un vero e proprio caso letterario dopo la sua morte, quando è stato interamente pubblicato da Adelphi. Ad alimentare ulteriormente il mito postumo di Morselli è servito un volume uscito per l’editrice Bietti di Milano, con una sua vasta raccolta di saggi brevi e racconti di carattere giornalistico.

Pur non trattandosi di uno dei suoi scritti maggiori, leggendo “Una rivolta e altri scritti (1932-1966)”, il valore della prosa appare subito evidente. E allora viene spontaneo chiedersi per quali misteriose vie il successo arrida ad alcuni autori, mentre altri restino nell’ombra, in un mondo come quello letterario spesso pilotato da occulte regie editoriali.

I temi trattati nel libro sono vari quanto lo erano gli interessi di Morselli, e rappresentano praticamente il suo tirocinio di scrittura. Le opere raccolte, certamente non le più note, già raccolte in altre antologie, si dipanano lungo trentacinque anni – dal 1932 al 1966, come recita il titolo –, e sono state scelte dai curatori Alessandro Gaudio e Linda Terziroli, due giovani studiosi che oltre ad aver ideato il premio letterario “Guido Morselli”, hanno dotato il volume delle loro prefazioni, accanto alla densa introduzione di Gianfranco de Turris.

Ciò che più emerge dalla lettura è la grande considerazione che Morselli aveva per ciò che leggeva e di cui scriveva, quasi avesse una responsabilità etica verso il suo lavoro, con una esigenza di verità che non abbandonò mai, senza ergersi tuttavia in atteggiamenti ideologici che lo scrittore bolognese di nascita sommamente riprovava. Eclettismo è la parola chiave per comprenderli, grazie a un camaleontismo di generi e anche di stili, che passa dalla retorica iniziale degli articoli giovanili – pubblicati sui giornali fascisti – a quelli della maturità che hanno sempre prosa però sempre lucida ed elegante. D’altra parte Morselli stesso, nel suo Diario, si autodefinì “molteplice” – in questo caso emulo di Pessoa – quasi fosse determinato da più anime, da più interessi, da più daimon interiori.

Dopo il periodo giovanile in cui collaborò con la rivista fascista Libro e Moschetto, il secondo periodo è stato connotato, a ridosso del dopoguerra, dalla pubblicazione su riviste come La Prealpina di Varese. Ed è proprio questa città lombarda, sua patria di elezione – quasi una heimat dello spirito – ad essere protagonista di molti suoi articoli, in cui lo scrittore, tra l’analisi sociologica e il progetto politico, analizza in carattere dei suoi abitanti, critica il fatto che se ne fosse snaturata la bellezza insieme a quella delle sue valli, racconta la vita dei suoi caffè e dei suoi teatri di provincia, auspica che la si dotasse di un moderno piano regolatore. Un ecologista d’avanguardia, potremmo dire. Morselli che passò lunghi anni in questa città, pressoché sconosciuto malgrado gli innumerevoli articoli e scritti letterari pubblicati in tutta Italia. Una scelta, la sua, quasi Jùngeriana, la volontà di “passare dalla parte del bosco”, chissà.

Infine, il terzo periodo, fino al 1966, che vede la pubblicazione di recensioni tra cui quella della celebre opera di Roland Barthes “Miti d’oggi”, risolta da Morselli con penetranti considerazioni semantiche e storico-sociologiche, descrivendo lo stato dei simboli nel mondo moderno.

Una menzione a parte va fatta per il racconto “Una rivolta”, pubblicato il 3 Febbraio 1950 su La Prealpina. In una specie di luddismo alla rovescia, è un apologo in cui sono le macchine a ribellarsi all’uomo, con buona pace della filosofia antiscientista del secolo scorso. Per noi che viviamo invece il XXI secolo, con la tecnologia moltiplicata in un modo inimmaginabile, pensammo a cosa accadrebbe se fossero i nostri computer a spegnersi? Saremmo nudi e incapaci, ben di più di quanto fossero i protagonisti del racconto di Morselli, in cui, dopo la rivolta dei cacciaviti – è una rivolta mondiale, nessun cacciavite si degna di girare una vite – sentiamo questi strumenti avvolti quasi in un’aura romantica, di umiltà arcaica e tradizionale, assai lontana dalla tracotante hybris del pensiero calcolante moderno.

Questo volume è un’ottima occasione per accostarsi ad un Morselli meno noto, ma che merita di essere conosciuto, magari dopo avere letto le sue opere maggiori, o forse anche, al contrario, per iniziare a conoscerlo, passando in una fase successiva ai romanzi e ai racconti più famosi, come “Roma senza papa” o “Dissipatio HG”.

Una cosa che fa riflettere è come sia quasi paradossale il fatto che Guido Morselli abbia svolto tanto lavoro come giornalista, proprio lui, che potremmo definire campione dell’anticomunicazione, con la sua vita votata ad un austero nascondimento, a un’ascosità quasi impenetrabile, proprio lui che si definiva “monade senza finestra” con il suo pensiero asociale, difficile, nella maggioranza dei casi fine a se stesso e quindi inutile e batailleanamente improduttivo. Eppure, proprio questo paradosso, che potrebbe sapere di snobismo, è solo coerente fedeltà a se stesso, di un cavaliere che solitario ha percorso le vicende del Secolo Breve. Una coerenza che lo portò anche a polemizzare con Umberto Eco, in una lettera del 1969, ma di cui si parla nella prefazione. Morselli definì quello che riteneva dovesse essere il ruolo della stampa, fuori dal confinamento in cui si trovava grazie ai soliti mandarini del giornalismo, teorizzando addirittura un intervento diretto del popolo sui giornali, dove la gente potesse esprimere le sue opinioni e contribuire al dibattito informativo culturale e sociale.

Etiam omnes, ego non – pure se tutti, io no – era la massima che Guido Morselli incise di fronte alla sua scrivania per averla sempre presente. È la stessa massima scritta sulla tomba di Giuseppe Rensi, filosofo del Novecento amato da Morselli, perché del suo stesso ceppo spirituale. Un ceppo aristocratico e appartato, raro nel nostro panorama culturale, di chi si sente alieno nel mondo ma che tuttavia non può fare a meno di intervenirvi in piena libertà e coerenza.

 

(Mario Sammarone, «La Città», 22 aprile 2015)

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