AmiciCinema: «Il Signore degli Anelli: una discesa agli Inferi?»

Stefano Giuliano
2015-04-14 14:04:13
AmiciCinema: «Il Signore degli Anelli: una discesa agli Inferi?»

Cosa fa di un libro un buon libro? Cosa lo rende un classico, che continua ad essere oggetto di miti e mantiene inalterata la propria popolarità anche a distanza di decenni dalla prima pubblicazione?

Di certo non è solo il trattare temi di moda, o situazioni sociali del momento, scomparse le quali il libro perde di attualità. No, c’è qualcosa di più, e la trilogia più famosa del mondo, Il Signore degli Anelli di Tolkien ne è la dimostrazione. Pur essendo stato scritto in un’epoca che per molte – ma non troppe – ragioni è differente dalla nostra, continua ad essere letto e riletto, da adulti e bambini.

Forse, la celebrità di un romanzo dipende da altro, dal suo trattare e illustrare situazioni esemplari, archetipiche, che si ripetono ogni generazione, ogni secolo, come le albe e i tramonti. Questo non significa che vada letto andando a caccia di questi schemi, con la matita in mano: al contrario! Ciò che rende un romanzo un buon romanzo è la possibilità di leggerlo in più modi, come allegoria (termine che a Tolkien non garbava per nulla), come semplice letteratura od opera mitica e simbolica. Il che, poi, è il caso del Signore degli Anelli.

Nel suo ultimo libro, Stefano Giuliano prova a spiegarci perché l’opera del professore di Oxford è un evergreen, un sempreverde della letteratura mondiale. E lo fa prendendo spunto da un’osservazione di Franco Cardini, scritta in tempi in cui non erano poi così in tanti a perdersi tra i domini della Terra di Mezzo, preferendo la realtà a tutti costi, il restare “con i piedi per terra”.

Ebbene, secondo Cardini il Lord of the rings può essere letto come una catabasi, una discesa agli Inferi, tema molto diffuso nella mitologia occidentale. L’eroe vi si reca per imparare qualcosa di più su se stesso, ma anche sul mondo che lo circonda. Spesso, questo viaggio è accompagnato da esperienze estranianti o allucinatorie, insidiato da spettri o creature terrificanti. Al suo ritorno, l’eroe è cambiato, ha compiuto un’evoluzione interiore – è mutato il suo cuore, prima ancora che la sua mente. È un iniziato, battezzato ai misteri di un culto che chi vive solo la superficie delle cose non conosce.

Nel Signore degli Anelli non mancano situazioni di questo tipo: come interpretare, ad esempio, il viaggio sotterraneo a Moria, oppure la discesa di Aragorn e compagni nel cuore del monte nel quale sono imprigionati i morti fedifraghi, maledetti per non avere mantenuto il giuramento prestato? E l’esperienza nel tumulo che fanno i quattro Hobbit, preda di un orrendo spettro che ne minaccia l’integrità fisica e spirituale?

Ognuna di queste esperienze, vissute singolarmente o in gruppo, porta i personaggi della saga tolkieniana ad acquisire un nuovo stato, psicologico ed esistenziale, che permetterà loro di affrontare nuovi e terribili pericoli, fino alla catabasi definitiva, più pericolosa: Mordor.

Qui lo spaesamento è totale: è un paesaggio desolato, una waste land distrutta dalle brame di Sauron, da un potere cieco e sfrenato che non ammette valori o spiritualità. I colori della natura scompaiono, per lasciare il posto ad un grigio che tutto eguaglia e livella. Lì si erge Barad-Dûr, la torre nera da cui l’orrendo occhio scruta il mondo libero della Terra di Mezzo, oggetto dei desideri di conquista e dominio di Sauron. Quasi un’allegoria della globalizzazione…

Il cammino degli Hobbit verso Mordor è il viaggio definitivo negli Inferi, il più lungo, da cui dipenderà la salvezza o la capitolazione della Terra di Mezzo.

La missione è disperata, ma la posta in gioco altissima: dal successo o fallimento degli Hobbit, eroi moderni, come scrive Giuliano, dipenderà l’ingresso in una Modernità liberticida, tecnocratica e tirannica oppure il ritorno ad una società tradizionale, nella quale i Popoli Liberi vivono armoniosamente – certo non senza diffidenze e sospetti, come dimostra il caso di Elfi e Nani, che comunque si ricongiungono dopo la caduta di Mordor – senza imporre il proprio dominio a livello globale. Mordor è la modernità, nemica acerrima della bellezza, delle gerarchie e del valore della comunità. E può essere debellata solo da un eroe che sia in qualche modo moderno.

Gli Hobbit, eroi moderni… in questa espressione si cela una delle chiavi di lettura decisive del Signore degli Anelli. Già, perché Frodo e Sam, Merry e Pipino tutto sono fuorché eroi tradizionali.

Pensiamo a Frodo: riuscite ad immaginare un cavaliere “classico”, con tanto di armatura, spade, elmo e tutto il resto, dubitare, essere roso da dubbi e incertezze? No, egli sa sempre cosa fare…

Frodo invece ha una profondità psicologica sconosciuta agli eroi classici, è meditativo, sbaglia, si redime, e via dicendo. Questo tratto è messo bene il luce dal libro di Giuliano, che mostra come siano piuttosto gli altri personaggi ad essere – chi più, chi meno – stereotipi. Frodo ha qualcosa di più, è qualcosa di più. È molto più vicino a noi, condivide con l’uomo moderno l’ansia per un futuro sempre più oscuro e imprevedibile. Soggetto ad un potere crudele e spietato che non conosce scettri né corone ma solo sopraffazione e violenza, è logorato, stanco e incerto.
Eppure, ad onta di tutte queste preoccupazioni e timori, non è meno risoluto e, spesso grazie all’amico Sam – la cui funzione salvifica è magistralmente illustrata nel libro di Giuliano –, non rinuncia alla sfida, arrivando, arrancando, fino alla Voragine di Fuoco, dove l’Anello Unico fu forgiato. Scagliandolo tra le fiamme, libera un mondo dal buio della tirannide più scellerata.

Cosa rende un romanzo un buon romanzo?

Forse ora possiamo rispondere a questa domanda. Le avventure degli Elfi, dei Nani e degli Hobbit altro non sono che simboli di quanto accade oggi, in una “modernità” nella quale un potere livellatore e acefalo costringe i popoli all’interno degli ingranaggi di un meccanismo antiumano, nemico delle comunità e delle culture, delle differenze.

E, ogni volta che osiamo mettere in discussione questo sistema, la tecnica e l’industria che tutto saccheggiano, la scomparsa di quei valori che tutelano le diversità tra i popoli senza avere la pretesa di sottometterli ad un unico padrone, noi siamo quegli Hobbit che osarono affrontare le brame del Tiranno, fino, infine, a farlo crollare.

Perché, certo, ogni Leviatano sfrutta l’inganno e la coercizione, la dittatura del Pensiero Unico, la riduzione al silenzio delle voci dissidenti – spesso mostrandosi molto più potente di quanto in effetti sia. Ma possiede pur sempre una testa (o un Occhio, come nel caso del Lord). E ogni testa può essere spiccata.

 

(Andrea Scarabelli, «Amicicinema», 16 luglio 2013)

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