«Il Giornale»: Eroismo, sangue e decadenza. Autobiografia di Pierre "il fascista"

Pierre Drieu La Rochelle
2016-02-10 14:23:29
«Il Giornale»: Eroismo, sangue e decadenza. Autobiografia di Pierre

Stato civile esce nel dicembre del 1921. Quattro anni prima Drieu ha esordito, sempre per Gallimard, con una raccolta poetica, Interrogation, cui ha fatto seguito Fond de cantine. Mesure de la France è del novembre del 1922, La valise vide dell’agosto 1923, i racconti di Plainte contre inconnu, di cui farà parte, del settembre 1924… In un pugno d’anni c’è spazio, insomma, per un’attività di scrittore di tutto rispetto, così come sul versante delle esperienze di vita vanno messi nel conto studi universitari brillanti e poi deludenti, quattro anni di guerra, una ferita a Charleroi, un’altra al Godat, una terza a Verdun, un matrimonio e un divorzio, molta bohème, un patrimonio, quello della moglie, dissipato… La leggendaria pigrizia di Drieu è il frutto di un’incessante attività e insieme la spia di un qualcosa che in Stato civile è abbozzato e che Le Jeune Européen arriverà invece a teorizzare in un capitolo emblematico fin dal titolo, Le sang et l’encre, il rapporto fra sangue e inchiostro, azione e contemplazione, vita e letteratura. Più di trent’anni fa, per il Cahier de l’Herne curato da Marc Hanrez e dedicato a Drieu La Rochelle, Paul Renard dedicò al tema un lungo saggio che il tempo ha trasformato in un classico in materia e al quale rimandiamo chi volesse saperne di più. Qui accontentiamoci di dire che azioni e gesti, contemplazione e scrittura non furono mai per Drieu binomi antitetici, scelte di vita opposte. «Niente somiglia all’uomo d’azione quanto l’uomo di pensiero puro» scriverà ancora alla fine degli anni Venti, e in Genève ou Moscou tornerà sull’argomento: «La vera contemplazione e l’azione vera si raggiungono: l’una e l’altra disprezzano le prese di posizioni momentanee e le asserzioni frammentarie». Il sangue, «la prova del sangue», «uccidere o lasciarsi uccidere», le «misture di sangue», «il sangue sottile come lo spirito, questo geroglifico misterioso come il nome di dio», «le veemenze del mio sangue e le gioie del mio pensiero» presenti in Stato civile non rimandano solo a legami familiari, legami ancestrali, legami fisici, identificazione con una storia pregressa, radici e memorie, o, al loro opposto, alla decadenza, al sangue marcito, inutilmente versato e/o al rifiuto di versarlo che a essa si accompagna. Il sangue è anche lo sperma «finché c’è sperma c’è spirito» ha scritto qualcuno , è atto fondatore, presa di possesso del mondo. «Tutt’a un tratto conobbi la vita. Era dunque me stesso, questo forte, questo libero, questo eroe» leggiamo nella Commedia di Charleroi: «Era dunque la mia vita questa ebbrezza… Un eroe è un uomo nella sua completezza; l’uomo che sa dare e prendere nella sua stessa eiaculazione». Nel tempo, il rapporto con la decadenza si acuisce e si chiarisce al nero, ovvero si tinge dei valori della sconfitta. Viene meno l’idea che «decadenza vuol dire dissoluzione delle forze, ma anche preparazione delle forze future, dunque silenzio, dimenticanza, fermentazione indicibile, delizioso rilassamento, ritorno all’infanzia. La cosa più bella della decadenza è veder rifiorire la barbarie», e il panorama circostante assume l’aspetto di un disastro epocale. Il maschio è una divinità in crisi, non gode più della sua forza creatrice; il sesso, divenuto valore a sé stante, non lega più alla vita; il rapporto con le donne si corrompe perché manca di quella semplicità data dalla naturalezza, dall’essere parte integrante di un ciclo di valori primordiale… La donna è l’incanto di una linea, è il riposo del guerriero: l’amore, ormai, è solo desiderio carnale. La sanità dei corpi, il sesso come religione e non come ginnastica sono soltanto un ricordo: l’impotenza a creare condanna alla sterilità. Come uomo e come civiltà. Lo sperma, come l’inchiostro, si è seccato.***La prima edizione italiana di Stato civile è del 1968: la pubblicò la casa editrice Longanesi con una scritta in copertina che, vista l’epoca, era insieme un monito e un mettere le mani avanti: Le memorie di un fascista che finì suicida… Nella bandella di presentazione se ne parla come della sua «prima opera», nonché racconto «dell’infanzia dell’autore, i suoi primi traumi, la precoce vocazione al suicidio». Eppure, di quel suicidio, editorialmente tanto evocato, non v’è traccia…Era successo che tre anni prima, «invertendo l’ordine di tempo», come spiegato da Carlo Bo nella prefazione, sempre la Longanesi aveva tradotto Récit segret, ovvero l’ultimo testo rimasto inedito di Drieu, in Francia pubblicato postumo nel 1951, vera e propria meditazione sul darsi volontariamente la morte . Del resto, da Fuoco fatuo a Cani di paglia, l’universo romanzesco di Drieu è quello di un uomo coperto di sangue, il proprio, e a opera di se stesso, l’altra faccia, più vera o più falsa qui non interessa, di quell’Homme couvert de femmes che fu il titolo-emblema di un altro suo libro. Post hoc ergo propter hoc, insomma, e l’incipit di Racconto segreto «Da ragazzo ho giurato a me stesso di restare fedele alla mia giovinezza: un giorno ho cercato di mantenere la parola» rimanda a quello già ricordato di Stato civile, la biografia di un io che non sopporta altri biografi se non se stesso, che solo a se stesso riconosce il diritto di vivere e di morire. Resta comunque il fatto che in quella «prova di biografia prematura» sul suicidio non c’è nulla, tantomeno l’estrema chiarezza di quell’ultimo scritto che invece lo descrive come una tentazione presente sin da subito «Dovevo avere sei o sette anni» ovvero «l’idea del suicidio gratuito», fatto senza nessuna giustificazione, che poi diverrà «un atteggiamento puro e distaccato», il «nulla» che prende il posto dell’«ignoto», la «solitudine assoluta» che ne traccia il cammino, «la curiosità magica, teurgica» che lo rende possibile, l’approdo a «un universo colmo di cose nascoste, di segreti, di sorprese»…

 

(Stenio Solinas, «Il Giornale», 7 febbraio 2016)

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