Storia in Rete: «USA, una Roma in cui ha fallito il melting pot. Intervista a Giorgio Galli»

Giorgio Galli
2015-04-14 14:07:01
Storia in Rete: «USA, una Roma in cui ha fallito il melting pot. Intervista a Giorgio Galli»

Giorgio Galli è un apprezzato studioso di politica, già docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università degli Studi di Milano e autore di numerosi saggi dedicati alla storia dei partiti ed al rapporto tra esoterismo e modernità. Il suo ultimo libro, L’impero antimoderno. La crisi della modernità statunitense da Clinton a Obama, appena pubblicato da Bietti (pagg. 110, € 14), analizza le numerose contraddizioni di una democrazia rappresentativa che è stata messa in crisi dai numerosi fatti di sangue che, almeno dal 1993, anno del primo attentato contro il World Trade Center, hanno segnato la storia recente degli USA.

L’impero antimoderno analizza i tragici attentati che nell’ultimo ventennio hanno insanguinato gli Stati Uniti e che si sono purtroppo ripetuti negli ultimi giorni, con le bombe collocate alla maratona di Boston. Nel suo libro considera questi fatti come sintomi di una crisi degli USA, che è contemporaneamente anche una crisi della democrazia rappresentativa e della modernità…

Il titolo del libro, che fa riferimento a un “impero antimoderno”, è simbolico, perché analizza la crisi di una modernità tipica proprio degli USA, nazione caratterizzata sin dall’inizio della sua storia dalla democrazia rappresentativa che, dopo essere nata in Inghilterra nel Seicento, è fiorita negli USA basandosi sulla filosofia lockiana e sul calvinismo. Nel Settecento, la Francia ha aiutato gli USA nella competizione imperiale contro l’Inghilterra, che a sua volta ha favorito gli illuministi francesi contro la loro monarchia. La Modernità è nata così, con un intreccio tra le democrazie originarie – Gran Bretagna, USA e Francia – e i loro interessi imperiali, che poi sarebbero diventati imperialisti.

Lei considera il terrorismo e la pazzia due elementi che sono all’origine di molto fatti inquietanti, come sembrano dimostrare anche le bombe di Boston…

Effettivamente, secondo le versioni ufficiali finora disponibili, gli attentatori sono ragazzi emigrati da un paese dove la repressione russa antislamica è fortissima, e negli USA si integrano benissimo; ricevono addirittura dei premi come ragazzi modello, e, all’improvviso, quasi inspiegabilmente, sono presi da un odio immotivato contro il paese che li ha accolti; quindi, senza collegamento con organizzazioni internazionali e con ordigni rudimentali colpiscono un luogo fortemente simbolico, Boston, dove è nata l’indipendenza americana.

Nel libro cito altri episodi di odio, tutti causati dalla follia, che secondo me ha una forte valenza simbolica e che anche un grande giornalista come Scalfari, in un saggio ripubblicato nei Meridiani, considera uno dei sintomi della fine della modernità. Io, più prudentemente, mi limito a parlare di crisi; gli USA sembravano essere una società in grado di garantire il massimo dell’inclusività e invece suscitano continuamente reazioni di “non-appartenenza”. Ricordo anche altri episodi, politicamente interessanti, come il fatto che, mentre succedeva tutto questo, il Senato rifiutava di nuovo un compromesso bipartisan per un minimo di controllo delle armi, a conferma di come questa modernità sembri essere connaturata alla violenza. Anche questa mi sembra una contraddizione, perché la modernità dovrebbe accettare, weberaniamente, il monopolio della violenza da parte del potere costituito; invece, sembra essere un diritto individuale inalienabile il fatto che il cittadino americano possa armarsi con facilità perché non è abbastanza garantito dalla violenza legale dello stato organizzato. Adesso si dice, ed è probabilmente vero, che la lobby delle armi, la NRA, è fortissima, ma è altrettanto vero che il paese che ha fondato la democrazia moderna, dove lo Stato è garante dell’incolumità dei cittadini, ha da sempre affidato all’individuo il diritto di armarsi.

Questo non sembra essere, alla fine dei conti, un fattore positivo…

Per contrappasso, le armi che dovrebbero servire per la propria difesa si usano per l’offesa e per aggredire il prossimo. È interessante osservare come, addirittura, alcune minoranze estremiste mettano in dubbio i fatti; recentemente, alcuni gruppi radicali sono arrivati a negare la strage compiuta dal ragazzo travestito da nemico di Batman in un cinema del Connecticut, e ha aperto un’inchiesta per dimostrare che le ricostruzioni della tv sono false e che si tratta di una messa in scena. È paradossale: poiché lo Stato non garantisce la sicurezza di tutti, il cittadino deve difendersi da solo, e quando le armi servono non per difendersi ma per uccidere, allora si dichiara la falsità dei fatti! La realtà e la valenza simbolica di tutti questi episodi sono segni di una crisi evidente della modernità.

Nel libro si fa riferimento anche alle differenze tra Impero romano e Impero americano, soprattutto in riferimento all’identità dei cittadini.

Innanzitutto, l’Impero Romano aveva una configurazione territoriale ben definita, mancante all’impero americano, che è una presenza planetaria e quindi geograficamente non definita. L’Impero Romano, poi, aveva capacità inclusive maggiori rispetto agli USA; anche se, originariamente, gli Stati Uniti sono stati costruiti da grandi flussi migratori, che in teoria sembravano integrati dal cosiddetto melting pot, l’aggregazione non è riuscita. L’ultimo episodio, quello di Boston da cui siamo partiti, sembra la conferma che questa inclusività funziona sul piano organizzativo e formale ma non funziona nella sostanza profonda, lasciando tutte le differenze e certificando, sostanzialmente, il fallimento del melting pot.

 

(Luca Gallesi, «Storia in Rete», 20 dicembre 2013)

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