Un professore seduto da solo in un androne, uno studente nel piazzale deserto di un liceo. Presto lo spazio di entrambi si riempie, colleghi e compagni come segni che vorticosamente affollano la pagina bianca. Poi lo schermo si ripartisce in minuscole porzioni, dentro cui scorrono immagini di ragazzi. Di potenziali personaggi. I riquadri si fanno sempre più grandi e meno numerosi: sembra di assistere all’esercizio di un algoritmo, a un complesso e al contempo lineare meccanismo di selezione.
È sufficiente il prologo di Nella casa (2011) per stabilire che quello che François Ozon sottopone allo spettatore è un esperimento, il resoconto [...]
Tratto da François Ozon n 2/2016