Nell’inquadratura inaugurale di Il rifugio (2009), l’acqua oscura del fiume e il carico umano della città parigina serpeggiano quasi indistintamente l’uno accanto e dentro l’altro, prima che i residui balenanti della notte vengano proiettati e poi dissolti sulla facciata di un palazzo, dietro le cui finestre illuminate si intravedono appena alcune silhouette umane. Come in altri film di Ozon – ad esempio Ricky. Una storia d’amore e libertà, contemporaneo a Il rifugio, dove la macchina da presa passa, senza soluzione di continuità, dall’inquadratura della superficie di uno specchio d’acqua a quella dell’edificio anonimo che svetta sopra di esso – questo [...]
Tratto da François Ozon n 2/2016